A Taxi Driver - Cineclub Arsenale APS

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A TAXI DRIVER

di Hun Jang

Durata: 137'
Luogo, Anno: Corea, 2017
Cast: Song Kang-ho, Thomas Kretschmann


Sinossi

Seoul, 1980. Kim è un tassista vedovo, indebitato e con una figlia da mantenere. I tumulti che caratterizzano il clima politico di quegli anni in Corea del Sud non scalfiscono i suoi valori da uomo medio. Finché un giorno Kim non si appropria di un cliente destinato a un altro autista: un fotoreporter tedesco, disposto a spendere 100 mila won pur di essere portato a Gwang-ju, nel sud del Paese, per filmare la repressione della protesta studentesca da parte dei militari e far sapere al mondo costa sta succedendo in Corea. Il viaggio cambierà i valori di Kim per sempre.


Critica

Al cinema commerciale sudcoreano si imputano da sempre la troppa retorica e l'eccesso di finali e contro finali, che protrae oltre il lecito il minutaggio dei film.

Altresì, sono altrettanto innegabili la sua perizia tecnica, la capacità di avvincere sul piano narrativo eseguendo i medesimi schemi alla perfezione e l'impatto emotivo, che rappresenta l'altra faccia della suddetta retorica.
A Taxi Driver è talmente sovraccarico di questi pro e di questi contro da risultare quasi esemplare per comprendere di cosa parliamo quando parliamo di un blockbuster sudcoreano. Dove nessuno avvertirebbe l'urgenza di mescolare la commedia grossolana alla tragedia di una nazione, Jang Hoon non esita a farlo, dedicando la prima mezzora scarsa di film a illustrarci la personalità di Kim - al solito straordinario Song Kang-ho, alle prese con una delle sue tipiche maschere - un "tassinaro" qualunquista e attento al soldo, al pari di quello immortalato da Alberto Sordi. Un riferimento, quest'ultimo, che non sembra del tutto estraneo al background di Jang, visto che la commedia agrodolce dell'Italia del boom pare il modello più plausibile a cui si ispira il primo segmento, "nazionalpopolare", del film.
Quando la tragedia si avvicina, lo stile di Jang Hoon cambia invece drasticamente: la prevalenza di primi piani lascia spazio a plongée e panoramiche dall'alto, che illustrano con spietata crudezza le malefatte dell'esercito regolare, inviato dai generali di Seoul per mettere fine alle dimostrazioni con ogni mezzo. A Taxi Driver assume qui le sembianze di un action-thriller degno di Ryoo Seung-wan, con dei militari in borghese sguinzagliati per le strade a caccia del fotoreporter tedesco e delle prove che inchioderebbero il regime di fronte all'opinione pubblica internazionale.

A distanza di 37 anni la strage di Gwang-ju colpisce ancora l'immaginario dei sudcoreani come una ferita aperta e mai rimarginata, tanto da costringere il regista ad adottare un approccio sfumato, mediato dalla commedia, pur di poter affrontare nuovamente il tema - tra i precedenti il capolavoro rimane Peppermint Candy - e affondare la lama quando la difesa dello spettatore si è ormai abbassata. D'altronde, il fatto che l'identità del tassista sia stata rivelata dal figlio solo dopo l'uscita del film, a distanza di 30 anni dai fatti raccontati in A Taxi Driver, la dice lunga su come la nazione sia ancora lontana da una totale pacificazione e sulla presenza perdurante, nei vertici della società, di elementi collusi con il regime di allora. A Taxi Driver parla un linguaggio semplice, quasi prosaico, con un'ingenuità che si avvicina all'imperdonabile. Ma, anche per questo, parla a tutti, obbliga ad essere visto e ascoltato, per raccontare una verità che non può essere più taciuta. Per queste ragioni è un film fondamentale e l'incasso straordinario conseguito in patria (più di 12 milioni di spettatori) è la migliore conferma del successo dell'operazione compiuta da Jang Hoon.

Emanuele Sacchi, MyMovies