Amarcord - Cineclub Arsenale APS

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AMARCORD

di Federico Fellini

Durata: 127'
Luogo, Anno: Italia/Francia, 1974
Cast: Bruno Zanin, Pupella Maggio, Nandino Orfei, Ciccio Ingrassia, Magali Noël


Sinossi

Esattamente vent’anni dopo avere raccontato la storia di una fuga dalla provincia in I vitelloni, l’autore ritorna in quel piccolo mondo, ricostruendo gli ambienti della sua adolescenza a Cinecittà e a Ostia. La famiglia che vediamo rievocata nel film è quella dell’amico d’infanzia Titta Benzi e intorno a lui pullula un’umanità descritta con tinte sanguigne e linee grottesche (soprattutto i rappresentanti delle istituzioni, il clero e i gerarchi fascisti), con tenera sensualità (Gradisca) e un’ironia al tempo stesso affettuosa e graffiante. La vitalità delle figure che popolano il film (compresa l’emarginata ninfomane Volpina) cela una sotterranea, profonda malinconia. Il piccolo borgo romagnolo degli anni Trenta riassume una delle più penetranti immagini dell’Italia secondo Fellini: un piccolo mondo immaturo e conformista, succube di un regime becero e mistificatore, o tristemente impotente di fronte alle sue violenze.


Critica

Un giorno, al ristorante, mentre scribacchiavo disegnini sul tovagliolo è venuta fuori la parola Amarcord; ecco, mi sono detto, adesso verrà immediatamente identificata nel 'mi ricordo' in dialetto romagnolo, mentre ciò che bisognava accuratamente evitare era una lettura in chiave autobiografica del film. Amarcord: una paroletta bizzarra, un carillon, una capriola fonetica, un suono cabalistico, la marca di un aperitivo, anche, perché no? Qualunque cosa, tranne l'irritante associazione al 'je me souviens'. Una parola che nella sua stravaganza potesse diventare la sintesi, il punto di riferimento, quasi il riverbero sonoro di un sentimento, di uno stato d'animo, di un atteggiamento, di un modo di sentire e di pensare duplice, controverso, contraddittorio, la convivenza di due opposti, la fusione di due estremi, come distacco e nostalgia, giudizio e complicità, rifiuto e adesione, tenerezza ed ironia, fastidio e strazio. Mi sembrava che il film che volevo fare rappresentasse proprio questo: la necessità di una separazione da qualcosa che ti è appartenuta, nella quale sei nato e vissuto, che ti ha condizionato, ammalato, ammaccato, dove tutto si confonde emozionalmente, pericolosamente, un passato che non deve avvelenarci, e che perciò è necessario liberare da ombre, grovigli, vincoli ancora operanti, un passato da conservare come la più limpida nozione di noi stessi, della nostra storia, un passato da assimilare per vivere più consapevoli il presente.
Federico Fellini