Critica
C'è chi paragona il nuovo autore di culto orientale Wong Kar Wai, venuto da Hong Kong in occhiali neri, a Tarantino, ma ancora più eccentrico, più jazz freddo. Si prosegue il racconto di Hong Kong express: è rigorosamente notte, morale e materiale; ancora delusioni d'amore, killer pronti alla strage nevrotica e improvvisa, ragazze by night, tutti angeli perduti. E il vecchio centro di Hong Kong, dedalo fatiscente che si scontra col materiale pop spot offerto anche in ralenti: i fast food, l'imperante e falsa luce al neon, la videocamera e i video auguri, i pub, i ristoranti, il juke box, il cibo, insomma la video generazione. Le immagini non sono dolci, ma agitate come in una partita di football, spinte a collisioni emotive fatali. Duoluo Thianshi(Angeli perduti n.d.r) non prende le cose alla leggera e ha il pregio di mescolare fino alla fine, con abilità visiva e qualche colpo di genio, l'impatto narrativo a quello emotivo. è il limite dell'operazione, un po' criptica, che getta via la ragione e il sentimento del pubblico. Il regista dice che il film si degusta come un gelato (altri sono come l'oppio o la Coca Cola), ogni leccata un'emozione, si lavora senza script, volutamente senza pensarci sù : si gira e basta. Basta farsi precedere da un assioma spirituale alla Wenders: i folli si avventurano dove gli angeli non osano. Non sono i fatti che interessano Kar Wai, né l'apparato schizoide con cui li racconta, bensì il loro riflesso nel cuore, allenato al peggio ma sempre pronto a una bella scenata di gelosia. L'indagine si fa minimalista: "Controllare la spazzatura di qualcuno ti fa scoprire molte cose"; "anche un assassino ha avuto i compagni di scuola". Esce, vivissimo, il tessuto sociale della metropoli ed è bello naufragar nella confusione sentimentale, con finale all'alba tra i grattacieli. Angeli perduti esaspera la forma. il grandangolo è la superstar del subconscio: una lente Cinemascope serve alla distorsione orizzontale, pur in una città da leggere verticale. come la sostanza: ne esce un film ingegnoso e affascinante, forse meno ricco del precedente, ma sempre in grado di porre domande essenziali cui a loro volta risponderanno dubbi essenziali. Si tratta di materia di cinema puro: ma ora servono le regole per la conquista del pubblico. Se fosse Hollywood a chiamare, la prossima volta?
Maurizio Porro, Il Corriere della Sera, 4/05/1996