Assalto al cielo - Cineclub Arsenale APS

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ASSALTO AL CIELO

di Francesco Munzi

Durata: 72'
Luogo, Anno: talia, 2017
Cast:


Sinossi

Costruito esclusivamente con materiale documentario di archivio, il film racconta la parabola di quei ragazzi che animarono le lotte politiche extraparlamentari negli anni compresi tra il 1967 e il 1977 e che tra slanci e sogni, ma anche violenze e delitti, inseguirono l’idea della rivoluzione, tentando l’Assalto al Cielo. 
Diviso in tre movimenti come fosse una partitura musicale, il film esprime il sentimento che oggi conserviamo di quegli anni, mescolando nelle scelte del materiale e di montaggio, memoria personale, storia, spunti di riflessione e desiderio di trasfigurazione.


Critica

Si parte dal 1967, con la nascita della contestazione, dell'utopia di un lotta non violenta condotta a forza di fiori nelle armi della polizia, e si arriva al 1977, con la Bologna di Radio Alice, del congresso del movimento e la Milano del Parco Lambro (con tutte le sue contraddizioni) passando per la nascita del terrorismo e della lotta armata. Si parte da un decennio complicato, violento e cruciale nella storia del nostro paese per arrivare, in qualche modo, a oggi: perlomeno con il ragionamento. 
Non è un caso che Francesco Munzi, regista, e Giuseppe Trepiccione, montatore, abbiano deciso di inserire all'interno dei 72' del loro film , per due volte, quei cartelli di una volta che invitavano chi guardava a fermare la proiezione per iniziare a discutere di quel che si vedeva. 
Perché da questo documentario di montaggio (che nasce dalla voglia del regista di raccontare e raccontarsi, attraverso i documenti filmati dell'epoca, una stagione vissuta tangenzialmente per motivi anagrafici), discussioni e riflessioni nascono in abbondanza. 
Privo di qualsiasi intervento esterno, di interviste e testimonianze di singoli più o meno nostalgici, unicamente ancorato allo sguardo più oggettivo dei filmati e dei documentari dell'epoca, Assalto al cielo ricostruisce con agilità la trasformazione della contestazione di fine Sessanta in qualcosa di cupo e violento, riassume senza eccessivi schematismi i tanti rivoli e correnti che hanno contraddistinto il movimento e che sono arrivate a dissolvere il loro potenziale di cambiamento arroccandosi su varie forme di estremismo. 
L'impressione, fermandosi nei punti indicati da Munzi (o anche a piacere), è che di tutto quel marasma ideologico e rivoluzionario - di quell'arcobaleno di tendenze che andava dai brigatisti ai post-hippie di Parco Lambro destinati all'eroina, passando per gli operai, gli studenti e gli intellettuali della fantasia al potere - alla sinistra parlamentare e non sopravvissuta siano rimasti solo i colori più sbiaditi, gli eccessi più sbagliati, gli ideologismi più rigidi. 
E che quanto di veramente, potenzialmente fruttifero ha espresso quella stagione, si sia arenato, bloccato da una pallottola, da una dose di troppo, dalla pigrizia o dalla disillusione figlia di un velleitarismo forse, oggi, imperdonabile.

Federico Gironi, Comingsoon.it