Critica
Il pugilato al cinema è un genere vero e proprio. Lo sport è spesso solo il contesto utile per parlare in realtà degli esseri umani che salgono sul ring, catturando l’attenzione del pubblico con lo spettacolo del combattimento, per raccontare quello che succede quando ne escono. Non fa eccezione Bleed - più forte del destino, in cui Ben Younger si è ispirato a una di quelle storie che portate al cinema sembrano poco credibili, ma sono vere. “Non paro i colpi, la mia difesa è sferrare pugni in attacco”. Suona così la frase manifesto rimandata al suo allenatore dal pugile Vinny Pazienza, durante un incontro iniziato male. È lui il protagonista del film, italoamericano che vive ancora con la famiglia a Providence, Rhode Island, un posto da cui normalmente non provengono campioni del mondo. Lo conosciamo nel 1988, alla vigilia del suo incontro per il titolo con Roger Mayweather, in lotta per rientrare nel peso della sua categoria. Pazienza era un pugile diverso dagli altri, meno calcolatore e più eccentrico, di quelli che il cinema ha sempre amato. Sbruffone e provocatore, colletto blu di famiglia modesta, uno che lotta con il cuore più che con la potenza, di talento non ne aveva troppo, ma il coraggio non gli mancava.
Per uno di quei ruoli che gli attori adorano, chili di massa inclusi, è stato scelto Miles Teller, in un nuovo ruolo ai limiti della masochistica devastazione del proprio corpo dopo Whiplash, a suo modo un altro boxe movie. L’evento che ha reso memorabile la carriera di Pazienza è stato un terribile incidente occorso nel pieno della sua carriera, uno di quelli che secondo i medici avrebbe rischiato di non permettergli più di tornare a camminare, ma che lui vide solo come uno dei tanti ostacoli di una vita vissuta sul ring. Non è un vero film sul pugilato se non c’è un allenatore, meglio se stropicciato dalla vita come il suo assistito, e con un certo amore per la bottiglia e per le notti insonni. Ci pensa il sempre bravo Aaron Eckhart, quasi irriconoscibile con stempiatura spinta e chili in eccesso.
Ogni sportivo ha una lotta da combattere, prima che con l’avversario, con l’età che passa e rende il proprio corpo meno performante. Il tempo che passa implacabile dovrebbe regalare in maturità e intelligenza tattica quello che toglie a livello di potenza o velocità pura. A scriverlo ci vuole poco, ma riuscire a farlo nella vita è la sfida più difficile, specie per chi vive una carriera lunga un attimo, come gli sportivi. In fondo non è diverso da quanto accade a tutti noi, specie agli attori. Quali sono gli stimoli che hanno spinto Pazienza a tenere duro, a tornare ad allenarsi come un matto invece che dar retta ai medici e prepararsi per la vita successiva?
Concentrandosi solo su di lui, la sua carriera e il suo incredibile recupero, Younger ci racconta un Pazienza consapevole di saper fare solo quello, il pugile. Il film non si distrae, concentra la sua attenzione sul pugile ossessionato, riservando poco spazio per il contesto; continua dritto con l'allenamento per tornare sul ring, più che con le ormai così abusate sequenze sul quadrato. Miles Teller conferma il suo talento ostinato e insieme a Eckhart nobilitano questa storia piuttosto convenzionale, donando compattezza e credibilità. Quella di un pugile dal grande coraggio, con un cuore enorme, a cui non interessava poter camminare, ma solo tornare a combattere, per lui a esistere.
Mauro Donzelli, Coming Soon