Caro Diario - Cineclub Arsenale APS

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CARO DIARIO

di Nanni Moretti

Durata: 101'
Luogo, Anno: Italia, 1993
Cast: Nanni Moretti, Renato Carpentieri, Antonio Neiwiller
Copia restaurata da Cineteca di Bologna


Sinossi

Diviso in tre capitoli autonomi e complementari (In vespa, Isole e Medici), Caro Diario rimane, a quasi trent'anni dalla sua prima uscita in sala, un sorprendente oggetto estraneo di un autore unico del nostro cinema. Per Nanni Moretti, “splendido quarantenne” , è un punto di svolta: dopo la crisi ideologica di Palombella rossa, il “leone di Monteverde” abbandona il suo alter ego Michele Apicella e porta sullo schermo se stesso, senza filtri, dalle gite in vespa nella Roma agostana deserta fino alla sua, reale, malattia. Un'autobiografia profondamente collettiva, dove le ossessioni personali del regista – il passato, le case, il ballo, i (cattivi) critici… – si fondono con quelle di un paese intero, incapace di ricordare, di comunicare, di ascoltare, di capire. Divertentissimo, colmo di indimenticabili tormentoni morettiani, ma capace anche di momenti di autentica commozione (la lunga scena del pellegrinaggio verso il luogo dove morì Pasolini). Premio per la regia al festival di Cannes 1994.


Critica

“VOI gridavate cose orrende e violentissine e VOI siete imbruttiti. Io gridavo cose giuste e ora sono uno splendido quarantenne”. Forse l’8½ di Nanni Moretti. Senza nesun filtro come poteva essere Guido Anselmi/Marcello Mastroianni per Federico Fellini. Anche in questo caso, entrambi i film sono stati realizzati sulla soglia dei 40 anni; Fellini ne aveva 42 quando lo stava girando, Moretti li stava compiendo poco prima dell’uscita. In entrambi i casi c’è un film da fare. Con il cineasta non slo in cerca d’ispirazione, ma in cui si avverte anche tutta la fatica, l’ansia, il terrore del set. 8½ era un film che non prendeva forma malgrado la presenza di un cast già pronto e una scenografia già costruita che poi veniva distrutta. Ma della storia nessuna traccia. Praticamente come in Caro diario che non è soltanto una confessione in prima persona. Con la voce off che s’intreccia con Moretti che guarda in macchina. Forse Guido Anselmi per lui poteva essere Michele Apicella, la sorta di alter-ego che lo aveva accompagnato da Io sono un autarchico. Ma Caro diario è una cosa completamente diversa e rappresenta, ancora oggi, quasi un esperimento unico nel cinema italiano. Per il modo in cui si mette in gioco, per come vorrebbe creare dialoghi immaginari e attende risposte dallo spettatore. Come se cercasse attraverso il cinema quasi un feed-back da platea teatrale. Per queso il titolo francese è ancora più bello, Journal intime. Perché mostra un’intimità e un’intensità emozionale a tratti non sostenibile. Per come procura i brivide senza cercare mai di commuovere. Con nessun mezzo. Tutto sul frammento. Tre episodi. 1) In vespa; 2) Isole; 3) Medici. Nel primo Moretti gira per una Roma deserta ad agosto in Vespa. Nel secondo va a trovare il suo amico Gerardo alle Eolie alla ricerca dell’ispirazione per il suo film. Nel terzo racconta la sua malattia attraverso i medici che lo hanno visitato. Tutti gli appunti sul film. C’è la carta (copertine, ritagli di giornali, il diario appunto, ma anche le vere ricette mediche con Moretti che gira un documentario su se stesso partendo dall’ultima seduta di chemioterapia). Però poi c’è anche la voce. E soprattutto un nomadismo molto Nouvelle Vague, proprio come sarà quello di Michel Piccoli attraverso Roma in Habemus Papam. Dove il protagonista è sommerso dai rumori, dalla vita che pulsa attorno a lui. C’è il viaggio attraverso Roma nel primo episodio, le Eolie (da Lipari ad Alicudi passando per Salina, Stromboli e istantanea sosta a Panarea). E che ha una libertà incredibile. Le panoramiche sulle case dei quartieri rappresenta un trattato architettonico su Roma come pochi altri hanno saputo fare, forse Fellini appunto con La dolce vita. Nel secondo invece si avverte fisicamente la presenza degli elementi naturali dei luoghi, ma anche quel senso di oppressione e chiusura momentaneo, soprattutto in uno degli episodi più divertenti del film, quello dei figli unici che hanno preso in mano il controllo delle famiglie (quasi un riciclaggio del bambino viziato dell’ex-sacerdote di La messa è finita) che culmina in quella monumentale inquadratura che mostra più adulti disperati al telefono, con la persona che si inginocchia in profondità di campio esottolineato dalla musica sempre più incalzante di Nicola Piovani. E infine nell’episodio Medici c’è tutta una fisicità contagiosa. Sembra di sentire il prurito addosso. E poi il tempo della paura. Quello racchiuso nell’ellissi tra le radiografie e la frase di Moretti. “Per fortuna, si erano sbagliati”. Con la chiusura con uno dei finali più belli del cinema italiano. Moretti che guarda in macchina sorridendo con un bicchier d’acqua sulle note di Inevitabilmente di Fiorella Mannoia. Tutti i pensieri passano attraverso quell’immagine. Tutte le passioni e gli odi cinematografici, dal balletto di Anna di Alberto Lattuada, l’incontro con Jennifer Beals (e Alexandre Rockwell) ad alcuni film su cui non siamo d’accordo come Henry – Pioggia di sangue di John McNaughton, Il pasto nudo di David Cronenberg e Cuore selvaggio di David Lynch. Fino a quell’omaggio a Pier Palo Pasolini dove il tempo perde le sue coordinate. Che potrebbe durare anche all’infinito per quanto lascia il segno. Con la macchina da presa che sta a maggiore distanza dalla Vespa. Con un pudore che ha qualcosa di miracoloso. Perché qui c’è tutta una voglia di vivere epidermica, contagiosa. Con  tutte le gioie e tutti i dolori. Ma senza risparmiarsi neanche un secondo.  Simone Emiliani, SentieriSelvaggi