Critica
Qualsiasi cosa riguardi i mondi interiori (il plurale non è casuale) di David Lynch è affascinante e leggermente ipnotico. Lo è vedere i suoi film, leggere i suoi scritti, ascoltarlo parlare di meditazione trascendentale o di cinema, visitare le sue mostre. Perché Lynch è un artista completo e geniale, creatore di mondi unici e mai visti prima della sua comparsa, com'è prerogativa di ogni vero grande innovatore. Assistere dunque alla visione di David Lynch: The Art Life, lo splendido documentario che attraverso la sua voce, i suoi filmini famigliari e le sue opere ne racconta gli anni formativi (fino all’ingresso all’American Film Institute con una borsa di studio e la lavorazione di Eraserhead), non è solo un piacere, ma costituisce un accesso privilegiato alla vita di un artista e di un uomo denso di contraddizioni: accanito fumatore e bevitore di caffè nonostante la pace raggiunta a suo dire con la meditazione, recluso dal mondo per scelta ma non restio a concedersi al pubblico, padre impreparato a ventidue anni di Jennifer e a 66 della piccola Lula, chiamata come la protagonista di Cuore selvaggio, paziente e amoroso con lei come un nonno.
Una delle cose più belle di questo documentario è il fatto che gli autori – che hanno iniziato a lavorarci nel 2012 e lo hanno potuto realizzare grazie a un crowdfunding su Kickstarter – hanno avuto accesso a documenti mai visti prima sullo schermo, che accompagnano le parole e i ricordi di Lynch, rendendoli ancora più reali agli occhi dello spettatore. Per nostra fortuna, infatti, la sua vita di americano nato nel secondo dopoguerra e bambino negli ottimisti anni Cinquanta, è ampiamente documentata. Così lo vediamo nelle varie fasi della crescita coi fratelli e gli amati genitori (molto toccanti le parole che dedica loro, soprattutto al padre) e capiamo immediatamente da cosa nasce il suo ricordo dell’età magica e felice vissuta a Boise, nell’Idaho. Anche lì, però, nella luce e nella gioia, fa irruzione l’inquietudine di qualcosa di inatteso, ed è uno dei momenti più emozionanti sentirlo raccontare dell’improvvisa apparizione della donna nuda e ferita sul viale tranquillo e conosciuto, che spaventa il fratellino e lo colpisce profondamente, tanto da fargliela riprodurre in Velluto blu, forse il suo film più velatamente autobiografico assieme ad Eraserhead.
Vediamo le case in cui ha vissuto, la prima moglie Peggy e la piccola Jennifer, e prima ancora le sue foto e i film dell’adolescenza, mentre racconta senza scendere in dettagli delle cattive compagnie che frequentava in prima liceo, o quando rievoca il viaggio sulla highway sotto l’effetto della marijuana e il suo fermarsi al centro della carreggiata affascinato dalle strisce (le stesse che ritroveremo in tanti suoi film, nastro incantato che guida i suoi protagonisti nel buio della notte). Ma soprattutto lo vediamo, con l’immancabile sigaretta in mano e spesso avvolto da volute di fumo, creare i suoi bizzarri dipinti e sculture, rivelatori della capacità del suo inconscio creativo di trarre il meglio non solo dai momenti felici, ma anche dalle peggiori esperienze: gli anni con il pittore Bushnell Keeler che gli fa da mentore, l’agorafobia, lo studio matto e disperatissimo per trovare la sua voce nell’arte figurativa, gli anni paurosi ma estremamente creativi vissuti in una Filadelfia razzista e aggressiva, il mancato incontro con Oskar Kokoschka e con Bob Dylan, la visita all’obitorio, la cantina degli esperimenti sulla decomposizione organica (un fascino che ritroveremo anche nei suoi film) che fa preoccupare il padre, convinto che il figlio si stia trasformando in Norman Bates.
David Lynch: The Art Life è un perfetto documentario di cinema, un regalo a tutti gli appassionati, di cui ci piacerebbe avere altri episodi, perché l’enigma di uno degli artisti più brillanti della nostra epoca è ben lungi dall’essere svelato. Ma in attesa del revival di Twin Peaks non possiamo che essergli grati per averci aperto le porte del suo sancta sanctorum e avere aggiunto con sincerità e con la consueta autoironia un capitolo fondamentale al suo ritratto di artista da giovane.
Daniela Catelli, Coming Soon