Edipo re - Cineclub Arsenale APS

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EDIPO RE

di Pier Paolo Pasolini

Durata: 104'
Luogo, Anno: Italia, 1967
Cast: Silvana Mangano, Franco Citti, Alida Valli, Carmelo Bene, Julian Beck, Ninetto Davoli


Sinossi

Nel prologo che si svolge negli anni ’20 sulle note del Dissonanzen Quartet di Mozart, il piccolo Edipo suscita le gelosie del padre che sente minacciato il rapporto privilegiato con la moglie. Poi, con un brusco stacco di montaggio siamo proiettati dentro la tragedia di Sofocle ambientata nel deserto marocchino con Edipo che non sfugge alla profezia di uccidere il padre e giacere con la madre Giocasta. L’epilogo si svolge nella Bologna di fine anni ’60 con Edipo cieco che vaga accompagnato dal giovane Angelo e che finisce per ritrovarsi nei prati della sua infanzia.


Critica

Edipo Re diventa un punto di svolta nella filmografia pasoliniana perché vengono abbandonate definitivamente le pretese realistiche e il racconto si arricchisce di simboli, metafore, suggestioni anti-naturalistiche. Se ancora violenza e sesso vengono rappresentate con discrezione (i delitti efferati di Edipo sono tutti in controluce, il sesso incestuoso è nascosto dallo stipite del letto), da questo momento in poi Pasolini sceglierà la strada della provocazione diretta prima con il sesso nella ‘trilogia della vita’ (Il Decameron, I racconti di Canterbury, Il fiore delle Mille e una Notte) e poi con la violenza insostenibile di Salò o le 120 giornate di Sodoma. Se Franco Citti esaspera in maniera quasi parossistica la sua recitazione urlata, Silvana Mangano lavora in sottrazione regalando una delle migliori interpretazioni della sua carriera. Il ruolo del coro è qui svolto da canti popolari rumeni, dai ritmi tribali nordafricani, dalla musica giapponese e dai canti rivoluzionari russi. È anche il primo film a colori di Pasolini con un uso sperimentale della fotografia teso a creare un effetto di trasformazione del materiale narrativo in mito. La lacerazione tra materia e spirito è irreversibile, il poeta prende atto della sua nullità e ritorna dentro il grembo materno. Non c’è più questa differenza tra vedere oltre e non vederci affatto. Il poeta, l’intellettuale, l’artista si richiude nel proprio mondo interiore quasi a difendersi dalla insensibilità e grettezza della società dei consumi in cui si è schiavi di false promesse di libertà. Il discorso mitologico diventa presa di coscienza della mutazione antropologica di una società capitalista che ha messo in moto un processo di omologazione in cui ogni identità è soffocata da catene invisibili.

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