Flora - Cineclub Arsenale APS

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FLORA

di Martina De Polo

Durata: 71'
Luogo, Anno: ITA 2024
Cast: Flora Monti, Deina Palmas


Sinossi

Flora Monti, originaria di Monterenzio, è stata la più giovane staffetta partigiana della Resistenza Italiana, ora ha 94 anni e vive a Bologna. Il documentario parla di lei, partigiana bambina nell’Appennino Tosco Emiliano e del viaggio che ha affrontato nel ’44 per arrivare al campo profughi di Cinecittà, dove ha vissuto per sette mesi. Flora fa parte di una famiglia di antifascisti e i nazisti stanno intraprendendo una caccia disperata per colpire chiunque aiuti o faccia parte della Resistenza. La loro casa viene bombardata. La famiglia Monti è costretta a fuggire e si unisce con altri profughi alla carovana organizzata dai soldati americani che li che li condurrà a Roma passando da Firenze. Cinecittà, dopo i bombardamenti è diventato il più grande campo profughi d’Italia, accoglie migliaia e migliaia di sfollati. Flora ci racconta la Storia dagli occhi di una bimba, una storia di sofferenza e di terrore ma soprattutto di speranza, di determinazione e libertà. Il racconto in prima persona di Flora e di altri esperti viene intervallato da ricostruzioni degli eventi narrati con un linguaggio innovativo. Attori teatrali con maschere della commedia dell’arte, scenografie suggestive con oggetti storici, materiale video d’attualità sapientemente rimaneggiato per creare momenti di video arte con la tecnica del video mapping nelle location attraversate dalla protagonista, videoproiezioni sui corpi degli attori, sono gli elementi che interagiscono per creare un racconto originale ed artistico.


Critica

Flora Monti, divenuta staffetta partigiana a soli dodici anni, racconta la propria vita a partire dal momento in cui decise di accettare il pericoloso incarico di portare messaggi ai gruppi resistenziali che agivano sull'Appennino tosco-emiliano. Quando, nel 1944, arrivarono gli americani, per lei e la sua famiglia iniziò una nuova avventura che la portò, da sfollata, a Cinecittà. Flora Monti è nata nel 1931 e la sua è una testimonianza più che preziosa. A raccoglierla è stata Martina De Polo grazie a una produzione che ha avuto un finanziamento dalla Regione Emilia Romagna ma anche, per alcuni elementi di postproduzione, da un crowdfunding che ha dato un importante segnale di interesse proveniente dal basso. Perché questo è fondamentale (e Flora ha modo di ricordarcelo) in una fase storica di revisionismo e/o di diffusa indifferenza nei confronti di un passato che potrebbe riproporsi seppure sotto altre forme esteriori.

La sua è una narrazione di vita vissuta, di cui ricorda anche i più piccoli particolari, che ci riporta alla seconda guerra mondiale e non fa nessuno sconto alla collaborazione stretta tra fascisti e nazisti. La descrizione del momento in cui viene da loro fermata e, dodicenne, lasciata solo in maglietta e mutandine per perquisirla è più che sufficiente per descrivere quanto accadeva.

Ma Flora aveva allora lo spirito che ha conservato anche oggi quando racconta e non si astiene dal giudicare. C'è però anche, seppure indirettamente, il cinema in questa sua vicenda personale. Perché, una volta rasa al suolo la sua abitazione, viene inviata, con i suoi genitori, al campo profughi dell'UNRRA collocato all'interno di Cinecittà. Quello che si trova davanti è un mondo nuovo in cui avrà modo, per la prima volta, di scoprire anche una radio. De Polo non si limita (che comunque sarebbe già moltissimo) a raccogliere le sue testimonianze e ad aggiungervi del materiale di repertorio. Con l'aiuto di una dodicenne di oggi che, novella Flora, offre alle nuove generazioni riferimenti storici forse non noti, ci fornisce ulteriori elementi che poi un gruppo di attori, che indossano le maschere più cupe della commedia dell'arte, traducono in azioni efficacemente mimate.

Il venire a conoscenza del fatto che parte della somma raccolta con il crowdfunding è servita a realizzare il videomapping sul corpo degli attori rende questa scelta ancor più significativa di quanto già simbolicamente non appaia sullo schermo.

Storie come quella di Flora andrebbero mostrate nelle scuole non per suscitare odio retroattivo (come qualcuno potrebbe in modo surrettizio obiettare) ma per ricordare quanto accaduto per farne tesoro per il presente e il futuro

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