Il gusto del sakE' - Cineclub Arsenale APS

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IL GUSTO DEL SAKE'

di Yasujirô Ozu

Durata: 113'
Luogo, Anno: Giappone, 1962
Cast: Chishû Ryû, Shima Iwashita


Sinossi

Tre uomini di mezza età, Kawai, Horei e Hirayama, si ritrovano a una celebrazione a bere insieme a un loro anziano insegnante. Quest'ultimo, che vive in povertà, rivela la sua disperazione per aver impedito alla figlia di sposarsi e averla così condannata all'infelicità. Hirayama, che si trova in una situazione analoga, vedovo e accudito dalla figlia Michiko, comincia a pensare che sia tempo di trovare uno spasimante all'altezza di Michiko.
Ricordato dai più come l'ultimo film di Ozu, e di conseguenza come il suo testamento, Il gusto del saké non è mai stato pensato per essere tale, visto che il regista stava lavorando a un altro film quando il male ha avuto il sopravvento su di lui. Ma i fraintendimenti si spingono fino al titolo, visto che né quello italiano né quello internazionale - An Autumn Afternoon - si avvicinano all'originario Il sapore della costardella, dal nome di un pesce che in autunno si avvicina alle coste per riprodursi. Questioni di anagrafe cinematografica a parte, l'opera sviluppa coerentemente il discorso autoriale dei film dell'ultimo periodo del regista, quello a colori. Emancipazione femminile che lentamente guadagna conquiste, consumismo e tecnologia che crescono di pari passo, evoluzione di un'identità nazionale salvaguardata attraverso i punti fermi della società umana (matrimonio, aiuto reciproco tra genitori e figli).
Nei pochi minuti che seguono l'incipit sono condensate tutte le situazioni tipiche di Ozu. Tentativi di combinare matrimoni, anziani che indulgono in chiacchiere licenziose davanti a un bicchiere di saké, i tempi che cambiano. E le situazioni si ripetono in maniera duale: per un personaggio oggetto di un'azione ce n'è sempre un altro nella medesima situazione. Così, per il rifiuto di mogli e figlie di sbrigare faccende domestiche a comando, come per un padre vedovo con una figlia in età da matrimonio, guardare all'altro da sé aiuta a comprendere meglio la propria situazione individuale.
Mai come in Il gusto del saké Ozu Yasujiro esplicita il suo gioco con lo spettatore. Per lunghi tratti è possibile illudersi dell'importanza dei dissidi tra Koichi e la moglie su delle mazze da golf o delle memorie di guerra che accomunano Hirayama (il consueto immancabile Chishu Ryu) e Sakamoto, ma sono tutte divagazioni, riflessioni di Ozu, come se il regista pensasse a voce alta per mezzo della macchina da presa. Non è necessario che il tempo diegetico corrisponda a quello reale, come non è necessario il suo contrario. Perché nel flusso continuo e ciclico del cinema di Ozu il girovagare attorno al quibus è parte integrante del processo di esplorazione della vita e delle sue stagioni, almeno quanto affrontare l'oggetto, vero o presunto, della narrazione. Ma Ozu sembra pronto a sperimentazioni più ardite e, per un attimo, si lascia andare a un uso emotivo della macchina da presa che sembra violare la rigidità del proprio stile: anziché transitare in un nuovo scenario e in un nuovo dialogo a base di mezzi primi piani frontali, infatti, l'inquadratura si sofferma su un uomo ubriaco e sulla figlia che piange a dirotto. Uno scarto stilistico che trasmette la gravità della loro condanna eterna alla solitudine, e che scatenerà lo sviluppo della trama principale, messa in moto, fuori da ogni consuetudine, a circa metà film.
La separazione tra Hirayama e la figlia Michiko, per quanto dolorosa, diviene quindi un male necessario, un cambiamento di abitudini repentino e forse forzato, ma che va affrontato appena è possibile per evitare di pentirsene. Forse una riflessione autobiografica sulle occasioni perse dallo stesso Ozu, che scelse di rimanere accanto alla madre fino alla fine, ma sono solo congetture. Di certo resta un ultimo, e per certi versi audace, capitolo di una filmografia a cui tornare costantemente per trovare saggezza, serenità e riflessioni sull'ordinario di qualità e semplicità straordinarie.