Critica
Il 27 ottobre del 2014 il regista Christian Carmosino Mereu si trova a Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, per realizzare un documentario. Suo malgrado si ritrova, con la camera accesa, nel bel mezzo dello scoppio delle proteste di piazza, alle quali l'esercito risponde con il fuoco. È la sua stessa voce a commentare tutto il film e scandirne le tappe. La causa dei tumulti sta nel fatto che il presidente Blaise Compaoré, già al potere da ventisette anni, ha indetto un referendum che gli permetta la modifica di un articolo costituzionale. Un escamotage per presentarsi alle successive elezioni e ottenere un mandato ulteriore di altri quindici anni. La popolazione reagisce con decisione a quel gesto di tirannia e per i quattro giorni successivi, anche per evitare il sequestro del girato, il regista non rientra alla base ma resta a seguire gli sviluppi. Filmando nelle strade, nota come molti rimpiangano il presidente precedente, Thomas Sankara, che si sospetta Compaoré abbia fatto assassinare nel 1987 per salire al potere. Ufficiale dell'esercito, una volta nominato, è stato Sankara a cambiare il nome della nazione da Alto Volta a Burkina Faso, che significa "il Paese delle persone integre", a indicare un programma improntato a maggior giustizia sociale e competenza ai vertici. E ha lasciato in eredità un partito che lo realizzi. Quella situazione di caos è contemporaneamente un'apertura alla speranza di cambiamento e fa sì che il filmmaker abbandoni il suo progetto per dedicarsi totalmente agli sviluppi. Nei cinque anni successivi, che vedono anche un sanguinoso colpo di Stato, individua le storie di quattro giovani burkinabé che lo aiutino a decifrare meglio il contesto. Sono il musicista e leader dell'opposizione Sam'sk Le Jah, autore di canzoni che contestano la dittatura e auspicano il cambiamento; Assana, una giovane madre fatalista che Christian ha conosciuto tra le barricate; Constant, che si candida alle elezioni e cerca di fare campagna e informazione; e Ghost, anche lui musicista e al tempo stesso operaio in miniera, impegnato in una trattativa sindacale con la proprietà, che come la maggior parte delle imprese estrattive nel Paese, è controllata dall'entourage di Compaoré. In loro il regista intercetta quello slancio verso la partecipazione politica, la discussione, la richiesta di diritti che animava l'Italia degli anni '70. Dal confronto con ognuno emerge la storia di un Paese con una sproporzione oscena tra risorse e ridistribuzione dei profitti e di un continente violato e derubato, e insieme la difficoltà del processo di insediamento democratico, testimoniato dalle prime elezioni davvero libere, nel 2015. Anche se in chiusura alcune didascalie ci ricordano come nel 2022 il Paese sia stato funestato da un nuovo colpo di Stato. Con un linguaggio piano e soluzioni semplici (il passaggio dal bianco e nero al colore nel momento della destituzione di Compaoré, la voce over continua, il commento sonoro drammatico, in aggiunta ai brani già espliciti) Il paese delle persone integre fornisce un punto di vista raro, dall'interno, su un contesto pochissimo coperto dai media. Lo fa prendendosi tutto il tempo necessario, senza inseguire il ritmo del reportage sensazionalistico, ma con la forza di una chiacchierata pre elettorale al chiosco, il pedinamento di un musicista ricercato dai sicari, i gesti di fiducia nel futuro di una giovane madre, la volontà di rivendicazione di un lavoratore.
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