Io non sono qui - Cineclub Arsenale APS

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IO NON SONO QUI

di Todd Haynes

Durata: 135'
Luogo, Anno: USA, 2007
Cast: Christian Bale, Cate Blanchett, Marcus Carl Franklin, Richard Gere, Heath Ledger


Sinossi

Un ragazzino di colore salta sui treni come Woody Guthrie e si fa chiamare Woody Guthrie ma non è Woody Guthrie. Jack Rollins è un cantante folk che scuote le menti, finché non sente di essere un cliché e si converte al cristianesimo. Robbie è un attore che interpreta Jack Rollins e un inguaribile seduttore. Jude Quinn è una rockstar geniale e consapevole di esserlo e tallonata da un giornalista che vuole sbugiardarla. Billy the Kid è un fuorilegge del Far West vicino alla resa dei conti. Ma forse, in qualche modo, sono tutti Bob Dylan.


Critica

Dai primi accordi strimpellati al capezzale di Woody Guthrie al Nobel per la Letteratura conseguito nel 2016, la carriera di Robert Zimmermann, in arte Bob Dylan, è un cumulo di contraddizioni, una continua sfilata di maschere e di trionfi, di scivoloni e resurrezioni. Un gioco di verità e falsità tale da rendere inafferrabile ai più la sua effettiva identità. "Qual è il vero Dylan?" è la domanda che si è posto inevitabilmente ogni suo fan o semplice conoscitore. Il menestrello folk che lancia sferzate ai maestri della guerra o il poeta rock guidato da visioni lisergiche? Il neoconvertito illuminato dalla luce divina o il cuore spezzato che lascia letteralmente sangue e lacrime nelle sue canzoni struggenti? Fin troppo ovvio rispondere che Dylan è tutte queste cose insieme. Assai meno scontato trasporre le sue gesta al cinema. Todd Haynes, autore di Lontano dal paradiso, sceglie l'unico modo possibile, riuscendo a rendere Io non sono qui un viaggio tra le canzoni e le maschere di Dylan, che esiste in una dimensione sospesa tra sogno e realtà. Con tanti volti diversi quante sono le sfaccettature del Genio di Hibbing: sei attori di sesso, razza ed età differenti tra loro. Sono tutti Dylan e Dylan è tutti loro. Un esperimento audace di un cineasta che sembra mettere in scena il caos ma dimostra di saperlo orchestrare dall'inizio alla fine. Nel flusso incontrollato che ci sbalza attraverso i decenni e i contesti più disparati - i treni su cui salgono gli hobo come Woody Guthrie, il set cinematografico di un film che potrebbe essere Pat Garrett & Billy the Kid di Sam Peckinpah, in cui Dylan recitò realmente - tutto sembra assumere un senso. È sufficiente che il pensiero corra alle liriche spesso enigmatiche di Zimmermann e alla complicità inevitabilmente instauratasi tra lui e i suoi ascoltatori per capire che Dylan si può raccontare solo così. Rifuggendo ogni schematismo tradizionale e lasciandosi andare al flusso della corrente creativa. Come rivelavano le interviste del documentario di Pennebaker, Don't Look Back, in cui Dylan faceva a pezzi i giornalisti ridicolizzandoli, Bob è irriducibile alla normalità. Il genere cinematografico più incline alla rigidità, il biopic tradizionale, in cui l'arco narrativo segue nascita, ascesa, crisi e riscatto di un musicista, non si addice alla complessità di Dylan né al cinema di Todd Haynes. In fondo ha un'importanza relativa il fatto che la sezione con Cate Blanchett (incredibile nei panni del Dylan più iconico in assoluto) funzioni molto meglio di quella onirica e azzardata nel western con Richard Gere. Perché ancora una volta Haynes lavora sullo spazio invisibile che separa le persone, sulle loro proiezioni e sulle nostre percezioni. Io non sono qui non è un film su Bob Dylan né forse sui Bob Dylan, bensì su ciò che pensiamo (o ci piace pensare che) sia Bob Dylan. E Dylan non si può che raccontare così.

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