Critica
Strutturato come un lungo flashback a partire da un indimenticabile prologo ("non ho avuto i soldi e non ho avuto la donna" dice il moribondo Walter), questo di Billy Wilder è uno dei più citati, imitati ed amati noir della storia del cinema. Nato da una irripetibile collaborazione (Chandler sceneggia a partire da un romanzo di James M. Cain), il film segna l'acme di un genere (forse sarebbe meglio parlare di stile o di tendenza narrativa) "fondato" pochi anni prima da John Huston con "Il mistero del falco" (1941) e del quale lo stesso Wilder decreterà il tramonto nel meraviglioso "Sunset Boulevard". Come tutti sanno, il termine "noir" fu assegnato nel 1946 da alcuni critici francesi che individuarono, in molte opere hollywoodiane del periodo che va dal 1941 al 1945, uscite però in Francia tutte nel dopoguerra, alcuni caratteri comuni ed una medesimo pessimismo, una medesima atmosfera tenebrosa. Tali caratteri sono facilmente individuabili: uomini, investigatori o criminali, disillusi e quasi inconsciamente attratti dalla morte; donne seducenti ma traditrici che spingono i protagonisti nel pericolo e li usano per realizzare i loro loschi piani; grandi città (San Francisco in primis, anche se in questo caso siamo a Los Angeles) quasi sempre immerse nella notte, nella nebbia, dove perennemente piove. Dal punto di vista stilistico abbiamo un ampio uso dei grandangoli, di angolazioni dall'alto e dal basso, di luci soffuse. Su tutti grava un pesante senso di morte, di annichilimento, di fallimento. Questo Double Indemnity, ribattezzato dal provincialismo parrocchiale tutto italiano La fiamma del peccato, è anche un sublime esempio di cinismo wilderriano. Basti citare la scena conclusiva, con Fred McMurray che nel momento più critico della storia si accende una sigaretta e sembra accennare ad un sorriso. Tra l'altro, il film avrebbe dovuto concludersi con il processo e l'esecuzione nella camera a gas di Neff, ma queste scene furono tolte dal montaggio poco prima dell'uscita del film nelle sale. Decisamente meglio così. Lo sguardo di Billy è carico di autentico orrore verso un'umanità degradata che vanamente si affanna ad affrancarsi da quella condizione abietta che gli è propria e dalla quale solo la morte può liberarla. Ogni inquadratura trasuda misantropia. Vista la "umanitas" di cui parla, come dargli torto? Misantropo è solo colui che lucidamente guarda lo squallore che lo circonda e se ne fa beffe. La modernità del suo sguardo, all'interno di uno forma perfettamente classica, è allucinante. Chardler forgia archetipi immortali: la dark lady perversa; un protagonista malvagio la cui tardiva redenzione non riesce ad attenuarne la negatività; l'investigatore, che rimane defilato, come nell'ombra, a ricostruire le intricate trame del caso. Possibile, anche se discutibile come ogni approccio "psicoanalistico" di matrice bellouriana, una interpretazione freudiana di questo terzetto, soprattutto per le innegabili valenze edipiche del rapporto tra Neff ("figlio") e Keyes ("padre", coscienza critica, Super Io). Ad interpretare questi tre ruoli tre icone del genere: Barbara Stanwyck, Fred MacMurray, E.G. Robinson, quest'ultimo a sua volta protagonista di una storia simile, seppure in versione "onirica", nello splendido La donna del ritratto di Fritz Lang, dello stesso anno (1944)