La maman et la putain - Cineclub Arsenale APS

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LA MAMAN ET LA PUTAIN

di Jean Eustache

Durata: 210'
Luogo, Anno: Francia, 1973
Cast: Bernadette Lafont, Jean-Pierre Léaud, Françoise Lebrun, Isabelle Weingarten


Sinossi

Alexandre, giovane dandy col foulard, vive la maggior parte del tempo affondato nel letto. Senza lavoro e senza soldi, dorme da Marie ma prova a riconquistare Gilberte, la donna che ama e che lo respinge. Impegnato a non fare nulla, Alexandre flâne a Saint-Germain-de-Prés e cena a Le Train Bleu con un prestito. Tra un café e una chambre de bonne seduce Veronika, una giovane infermiera disponibile al sesso e all'amore. La frequenta senza impegno e la presenta a Marie. Due incontri dopo, finiscono nello stesso letto.


Critica

Si dica senza indugio, La maman et la putain è il film più bello del mondo. Quello che ci ha insegnato a fare e a disfare il letto, ad ascoltare le donne, a vomitare con classe, a fischiettare Fréhel prima del caffè, a camminare in città e a sedurre al primo appuntamento, parlando troppo o stando in silenzio. Uscito per la prima volta nel 1973, il diamante nero di Jean Eustache torna in sala cinquant'anni dopo, come nuovo, in una superba versione restaurata e dentro un abito tagliato su misura per le immagini che lo abitano. Le notti parigine ritrovano la loro profondità e gli appartamenti i loro 'falsi giorni', il loro calore e la loro penombra. Le nuove generazioni avranno finalmente accesso a un film incredibile, un fantasma le cui incursioni nel nostro mondo erano così rare (la registrazione di un passaggio notturno su un vecchio VHS o la trasmissione su Arte in occasione della morte di Bernadette Lafont), che bisognava essere davvero appassionati o attenti per non mancarlo. E nel tentativo di ricordare dove lo abbiamo visto la prima volta, La maman et la putain ci appare come un altro pianeta in cui abbiamo voglia di abitare. Un mondo che era già straniero ai suoi contemporanei, nel film ascoltiamo Édith Piaf, non gli Stones. Girato ad altezza del suolo, come un film di Ozu, ci inchioda alla poltrona, emotivamente intatto dopo decenni passati nell'ombra, seppellito sotto le macerie dello scandalo, della censura, della mistificazione, della scomparsa di Catherine Garnier e del suicidio di Jean Eustache. Il titolo, crudezza a parte, potrebbe essere quello di un mélo ma le cose sono più complicate di così, perché la maman (Marie) non ha figli, giusto un amante che nutre e mantiene, e la putain (Veronika) "scopa tutti gli uomini che può" per piacere, non per profitto. Dal titolo restano esclusi l'uomo che crea il legame, Alexandre, e Gilberte, la vecchia fiamma sfumata per sempre. Non si tratta quindi della storia più vecchia del mondo, vecchia quanto il cinema almeno e quanto l'Aurora di Murnau, quella di un uomo indeciso tra due donne e tentato dall'illecito. La questione per Eustache non è sostituire una coppia con un'altra ma fuggire l'idea stessa della coppia per un'utopia sentimentale infinitamente estensibile. Il risultato non cambia, l'impossibilità dell'amore è dietro l'angolo, l'inestricabilità della relazione uomo-donna in un letto posato a terra.

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