La signora della porta accanto - Cineclub Arsenale APS

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LA SIGNORA DELLA PORTA ACCANTO

di François Truffaut

Durata: 105'
Luogo, Anno: Francia, 1981
Cast: Fanny Ardant, Gérard Dépardieu,Michèle Baumgartner, Henri Garcin, Véronique Silver


Sinossi

Mathilde, dal nome stendhaliano, ritrova sette anni dopo l'uomo che aveva amato fin quasi a soccombere: entrambi vivono in belle case vicine, dentro simili vite serene, eppure l'incontro sarà fatale. "Spero che il pubblico non prenda parte, che li ami entrambi come li amo io": ma come sempre per Truffaut, anche questa è la storia di uno squilibrio passionale, e pur nella tragedia che accomuna, la disfatta (amorosa) è della donna. Frasi che nessuno ha dimenticato: “Le canzonette dicono la verità, e più sono stupide più dicono la verità”, e “Né con te, né senza di te”.


Critica

La signora della porta accanto, ventesimo lungometraggio di François Truffaut, è una storia d’amour fou nel senso più cinematografico del termine: l’alchimia tra Ardant e Depardieu è palpabile in ogni scena e il restauro in 4K permette di godere nuovamente appieno di luci, ombre e cromie che sottolineano gli stati d’animo dei protagonisti, ma è soprattutto la progressione drammatica della narrazione – puntellata dalla ripetizione del loro dialogo “Aspetta, aspetta!”/“Aspetto”, stimolante ogni volta una nuova lettura e interpretazione – a manifestare il loro graduale essere travolti dalla malattia d’amore. Lo svenimento di Mathilde, subito dopo il nuovo primo bacio con Bernard, già rappresenta la passione amorosa come qualcosa che sconvolge e intacca da un lato il controllo razionale sulle proprie reazioni, dall’altro la fisicità stessa del corpo. Il primo si sfalda sotto i nostri occhi di spettatori a mano a mano che i due amanti proseguono la loro relazione, rischiando sempre più di essere scoperti compiendo azioni che da “lucidi” non si permetterebbero mai (organizzare incontri clandestini, affittare una stanza d’albergo, baciarsi di fronte a una folla di amici e colleghi…); la seconda è altrettanto compromessa perché riflette il malessere emotivo: non è un caso che Bernard non si capaciti delle proprie azioni, né che Mathilde abbia un esaurimento nervoso che la porta in ospedale dove sembra, oltretutto, non voler guarire. Anche la volontà, infatti, è impotente contro gli assalti d’Amore che sì, poeticamente vincit omnia, ma – per dirla con le parole del regista – è causa di “colpi di una violenza terribile”. È appunto violento il sentimento che lega i due protagonisti del film: un legame possessivo, geloso, che spaventa sé stessi e l’altro/a (“Tu mi fai paura” dice Mathilde a Bernard) perché rasenta la follia e conduce l’uomo ad aggredire fisicamente la donna. La narrazione, costruita come un ingranaggio perfetto dalla sceneggiatura di Truffaut, Suzanne Schiffman e Jean Aurel, procede in un crescendo costante di tensione, sia drammaturgica sia emotiva, che avvinghia sempre più la coppia in una morsa fatale fino al drammatico finale, quando all’“Aspetta” si aggiunge l’atteso invito “Vieni” ed Eros e Thanatos si abbracciano inscindibilmente. Per Truffaut l’amore è sempre devastante: sebbene in altre sue pellicole l’esito del suo operare non raggiunga esiti così tragici, gran parte della sua filmografia ci ricorda che dall’amore non si esce comunque mai indenni, né emotivamente né fisicamente. Lo sa bene la narratrice dell’infelice storia di questi due amanti: madame Jouve (una straordinaria Véronique Silver) porta su di sé i segni di un altro amour fou tragicamente finito molti anni prima.

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