Lezioni di Persiano - Cineclub Arsenale APS

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LEZIONI DI PERSIANO

di Vadim Perelman

Durata: 127'
Luogo, Anno: Germania, 2020
Cast: Nahuel Pérez Biscayart, Lars Eidinger


Sinossi

Catturato dai nazisti mentre attraversa la Francia nel 1942, l'ebreo belga Gilles riesce a scampare a un'esecuzione sommaria spacciandosi per iraniano. Un tentativo disperato, suggerito dal libro di poesia persiana che ha appena scambiato con un panino, ma che gli vale la sopravvivenza grazie al comandante di un campo di transito nei paraggi, in cerca di qualcuno che possa insegnargli la lingua farsi. L'ufficiale nazista Koch, che ha in programma di trasferirsi a Teheran dopo la guerra per aprire un ristorante, prende GIlles sotto la sua ala e gli richiede lezioni giornaliere di una lingua che il prigioniero non può far altro che inventare e memorizzare allo stesso ritmo del suo "allievo", pur di mantenere in vita l'inganno e anche se stesso.


Critica

Il linguaggio come memoria, e la memoria come unica formulazione del linguaggio, sono al centro di un dramma di impostazione classica realizzato con perizia, in grado qua e là di trascendere l'improbabile aggancio narrativo grazie soprattutto alle prove dei due attori principali.  Nahuel Pérez Biscayart, nel ruolo di Gilles, è di gran lunga la risorsa migliore del film. Perfetto non solo fisicamente, con la figura esile e gli occhi mastodontici a segnalare il senso di allerta e pericolo perenne, ma anche intellettualmente, lui attore poliglotta, argentino di nascita e molto attivo nel cinema europeo (120 battiti al minuto). A questo manipolatore di idiomi che deve insegnare imparando fa compagnia Lars Eidinger, volto affidabile del cinema tedesco che dà vita a un nazista che nasconde la devastante insicurezza tra le pieghe di un'affettata meticolosità.  Il regista ucraino Vadim Perelman, che all'inizio degli anni duemila si fece notare con La casa di sabbia e nebbia, costruisce il film attorno a loro, in quella che è di fatto un'opera "da camera" sullo sfondo dell'Olocausto e che non sembra interessata né alle storie dei pur nutriti personaggi secondari, né alla Storia in senso lato. Senza arrivare agli estremi di Benigni ne La vita è bella, il suo rimane un campo nazista da dimensione parallela, slegato da tutto e ingegnato per servire una meccanica di partenza del tutto implausibile.  A rendere il film toccante e godibile c'è però la forza della metafora centrale, e il modo in cui Perelman riesce a estenderla a un finale giustamente pieno di pathos. Sopravvivere alla barbarie nazista e creare la mappa di una lingua da zero sono imprese ugualmente proibitive per Gilles, il quale costruisce il suo vocabolario della salvezza mettendole l'una al servizio dell'altra. In lui la lingua non è quindi solo memoria, ma resistenza attiva e respiro vitale, nascosti in un involucro lessicale perfetto per essere tramandato.

Tommaso Tocci, MyMovies