Critica
Come racconta un astronomo all'inizio, quasi a voler suggerire una chiave interpretativa, la luce che ci arriva dalle stelle è spia di un passato, distante da noi quanto quella stessa luce ha impiegato per raggiungerci. Non a caso, Nostalgia della luce è un'indagine su quanto è accaduto, sulle tracce di ciò che è stato e deve continuare ad essere nel ricordo. Tre diversi livelli di passato che convergono, almeno spazialmente, in un deserto bellissimo e terribile, si intrecciano in questo ulteriore tassello del lavoro di Patricio Guzmán sul sogno tradito di Salvador Allende e sulla dittatura di Pinochet.
Con un gioco di analogie mai meccanico, dove le immagini astrali e le notazioni archeologiche stemperano la tensione sulla ricerca dei corpi dei desaparecidos, il regista di La battaglia del Cile scorge nella memoria, nella registrazione analitica dell'accaduto, l'arma di difesa verso l'oblio e l'anima stessa del suo film.
Il senso della nostalgia, del "dolore del ritorno" definisce un'opera che vuole darsi come documentario, ma sempre nella sfera dell'emozione, non dell'indignazione a sé stante, ma dell'importanza della conoscenza, della restituzione della dignità dei nomi, dei corpi, anche fossero solo parti di essi. In Cile, da una parte c'è l'oblio, dall'altra la memoria, come afferma a chiare lettere la voce dello stesso regista, personificando i due antitetici concetti in Anita, malata di Alzheimer, e in Miguel, due anziani coniugi che si abbracciano su una panchina di spalle alla camera. Quando era prigioniero in un campo di concentramento nel deserto di Atacama, Miguel, architetto, ha misurato gli spazi degli ambienti con i propri occhi e con i propri passi, li ha disegnati in segreto durante la notte per poterli meglio memorizzare e poi gettati nella latrina alla mattina presto per non essere scoperto. Solo così ha potuto serbare il ricordo limpido di quei luoghi, nella volontà di darne testimonianza visiva autentica una volta che Pinochet li avrebbe fatti smantellare per cancellare l'orrore.
Il Cile a cui guarda Patricio Guzmán trova forma limpida nel tentativo riuscito del vecchio Miguel, nel tormento politico e nell'ostinazione del suo gesto, così come nella passione innata dei cileni per l'astronomia, metafora chiara dello "studio del passato". Nell'intersecarsi del fervore politico e dell'interesse astronomico trova forse esaudimento il desiderio di una delle madri ancora alla ricerca dei resti del figlio quando, guardando in camera, afferma: "Vorrei che i telescopi si rivolgessero contro la Terra per scoprire cosa c'è sotto". Il suggestivo titolo è preso dal libro "Nostalgie de la lumiere: monts et merveilles de l'astrophysique" di Michel Cassé.
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