Orizzonti di gloria - Cineclub Arsenale APS

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ORIZZONTI DI GLORIA

di Stanley Kubrick

Durata: 91'
Luogo, Anno: USA, 1957
Cast: Kirk Douglas, Ralph Meeker, Adolphe Menjou


Sinossi

Due generali francesi della prima guerra mondiale ordinano, per ambizione e stupidità, un inutile attacco suicida. Quando questo fallisce, i due accusano di codardia i soldati e stabiliscono che ne vengano fucilati tre a caso come esempio per la truppa. Nonostante gli sforzi d'un onesto colonnello, le sentenze vengono eseguite: uno dei condannati, ferito, viene portato davanti al plotone in barella.


Critica

Una guerra: la Prima Guerra Mondiale. Due eserciti? No. La prima volta di Kubrick su un campo di battaglia si risolve tutta internamente ad un solo schieramento, contravvenendo i più elementari principi del genere. Tre minuti la sequenza dell’assalto al “Formicaio”, il resto verte sul comportamento d’un battaglione di fronte al nemico, un nemico che, davanti alla macchina da presa, non esiste. Per di più, tanto l’assalto quanto il processo non hanno nulla a che vedere con fini bellici, ma nascono dall’ambizione e dalle ripicche di pochi uomini. Ed è di uomini, infatti, che Kubrick parla: non dell’assurdità della guerra, ma della stupidità e della cattiveria delle formiche che la inscenano, senza eccezioni. Il Generale Broulard, per il quale ogni decisione è motivata da un interesse personale, magnificamente sintetizzato dalla sua stessa frase: “lei è un idealista, e la compiango”; il Generale Mireau, che manda al macello un intero battaglione conscio dell’impossibilità dell’impresa, e che per difendere il proprio onore ordina di sparare contro gli stessi soldati ed esige in-giustizia sommaria in un processo iniquo; il Colonnello Dax, l’eroe capace di dire “il patriottismo è l’ultimo rifugio delle canaglie”, ma anche “questi sono gli ordini, e dobbiamo eseguirli”, senza nemmeno provare a muovere un passo al di fuori degli schemi, al di fuori della scacchiera, pedina del gioco tanto quanto i suoi generali-re e i suoi soldati-pedoni. Altri sono i giocatori, ciò che rimane sempre è soltanto il gioco, il più antico, il più seducente la natura umana, la guerra.

Lontano dunque dallo scagliarsi contro l’assurdità della guerra, o dal rappresentare i soldati come uomini che gradualmente si spengono dentro, come farà trent’anni più tardi in Full Metal Jacket, Kubrick mette in scena, attenendosi al romanzo di Humphrey Cobb, la casualità che impera in un gioco che gli uomini pretenderebbero di gestire: chi deve morire viene estratto a sorte, ma la scena più emblematica è l’agghiacciante enumerazione di Mireau delle perdite preventivate, scandendo ogni fase dell’attacco con le sue percentuali ‘ragionevoli’.

Dove il film si eleva al di sopra del romanzo da cui parte è nelle scelte del maestro regista, ad iniziare dal pavimento a scacchiera nella sala del processo, dove ognuno fa le proprie, inutili mosse, significativa quanto forse soltanto il corridoio dell’albergo di Shining riuscirà ad essere. Sorprendente, sempre che non sia stata tagliata soltanto in sede di montaggio, la scelta di non concludere il processo con la ‘classica’ lettura del verdetto, oscura ma accattivante la dissertazione notturna sulla vera paura dell’uomo, se sia la morte o il dolore fisico. L’effetto più intenso Kubrick lo ottiene comunque senza affidarsi a dialoghi o ad avvenimenti, ma alla sola cinepresa che segue, anzi precede dapprima Mireau, quindi Dax, mentre percorrono la trincea con le due schiere di soldati ai lati che sfilano nell’inquadratura come un paesaggio dai finestrini d’un treno. Loro, gli antieroi, contornati da un branco di non-uomini dal quale usciranno, per puro caso, i tre condannati che si ritroveranno dinnanzi ai tre pali come a tre croci, i quali nemmeno l’insolenza del prete, che benedice anche chi s’oppone, priverà d’una morte ingloriosa e nobilitante al contempo, piccoli nella loro viltà, grandi nella loro umanità.

Glauco Almonte, cinemadelsilenzio.it