Play - Cineclub Arsenale APS

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di Ruben Östlund

Durata: 118'
Luogo, Anno: Svezia/Francia/Danimarca, 2011
Cast: Anas Abdiraham, Sebastian Blyckert, Yannick Diakité, Sebastian Hegmar, Abdiaziz Hilowle


Sinossi

In un centro commerciale di Gothenburg, cinque ragazzini di colore approcciano tre coetanei bianchi con la scusa di voler sapere l'ora ma con l'intento di rubare loro il cellulare. Senza violenza, ricorrendo alla minaccia che la loro semplice apparenza è in grado di suscitare per ragioni di diffuso pregiudizio, i cinque imbarcano gli altri tre in un viaggio lungo un giorno fino ai margini della città, sfruttando l'incredibile incapacità degli adulti di comprenderli e di essere d'aiuto.


Critica

documentari, ha trovato l'ispirazione per questo film in un articolo di cronaca che riportava la vicenda di una baby-gang che portò a compimento una quarantina di furti con il cosiddetto "numero del fratellino", ovvero incolpando le vittime designate di possedere un telefono cellulare di proprietà del fratello di uno di loro. Appare immediatamente evidente -e si risolve in un film potentemente intrigante- il ricorso, da parte di questi giovanissimi ad una retorica sofisticata, per cui il ladro accusa implicitamente l'innocente di furto e sfrutta la sua naturale rivendicazione di innocenza per intrappolarlo definitivamente, alla ricerca della "verità". Ma c'è di più. In questo gioco di ruolo in cui la tensione è snervante e l'imprevedibile perennemente sul punto di accadere, persecutori e prede si scambiano in continuazione le parti, nella percezione dello spettatore. Certo, è il regista che opportunamente destabilizza la prospettiva, ma è la società che ha creato i ruoli in gioco. Chi sono i buoni e chi i cattivi? Chi i ricchi e chi i poveri? Chi i vessati? Chi gli ingenui? Girato quasi interamente in tempo reale, con otto giovani interpreti che provano ad ogni minuto il lavoro straordinario di preparazione che hanno fatto e che è stato fatto su di loro, il film ha la sola pecca di allungarsi oltre misura e di arrotolarsi pericolosamente su se stesso nel finale. L'idea è nobile e spinge potenzialmente e velocemente ad libitum il meccanismo esplorato con più cura e agio fino a quel momento, ma la meccanicità si sente e dispiace. Bellissima, al contrario, l'idea di punteggiare il viaggio dei ragazzini con quello di un treno di pendolari sul quale viene ritrovata una culla ingombrante che nessun passeggero sembra voler reclamare. Eppure qualcuno questi ragazzi li ha cresciuti e non può non prendersene la responsabilità.

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