Regina - Cineclub Arsenale APS

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REGINA

di Alessandro Grande

Durata: 82'
Luogo, Anno: Italia, 2021
Cast: Francesco Montanari, Ginevra Francesconi, Barbara Giordano


Sinossi

Luigi è rimasto da solo a crescere sua figlia Regina da quando la moglie è venuta a mancare. Per questo ha abbandonato il sogno di una carriera artistica come bassista, e riversa le sue speranze sulla figlia 15enne che ha un talento canoro meritevole di un palcoscenico adeguato. Il legame fra Luigi e Regina è intenso e paritario: lui le tinge i capelli, lei gli pratica le iniezioni necessarie per attutire il dolore che prova alla schiena - segno tangibile della sua fatica a sostenere il peso del (suo) mondo. E c'è già qualcosa di impropriamente allineato in quella simmetria, giacché un padre dovrebbe essere più un genitore che un compagno di giochi. E quando i due restano coinvolti in un incidente del quale condividono la responsabilità le loro strade cominciano a dividersi: Regina, schiacciata dal senso di colpa, va alla ricerca di una redenzione, Luigi invece ignora i propri obblighi e si rifugia in un diniego sistematico.


Critica

Da Bismillah a Regina per Alessandro Grande. Bismillah è stato un corto di quattordici minuti apprezzato in tutto il mondo (da noi ha vinto il David di Donatello nel 2018), Regina invece rappresenta il suo esordio nel lungometraggio. Ancora una volta Grande tocca il tema della famiglia. In Bismillah al centro c’erano i migranti, una bambina della Tunisia che doveva occuparsi del fratello malato mentre il padre era assente. In Regina si parte dall’adolescenza. Anche qui manca un genitore, la mamma della protagonista è morta anni prima. Lei sogna di fare la cantante, il papà la sostiene. Fino a quando i due sono costretti a custodire un segreto che potrebbe distruggerli. Il regista mescola il thriller al coming of age, la morte viene dipinta come il passaggio inevitabile all’età adulta. La perdita delle persone care è la metafora dei sogni che si infrangono, nel momento in cui si affronta la crudezza della realtà.

Regina si trasforma in un saggio sulla colpa, sullo scontro generazionale che comporta la fine dell’innocenza. Salvare gli altri o salvare sé stessi, non sembrano esserci mezze misure in una Calabria livida, fotografata da Grande come se fosse la provincia americana. I pick-up, la criminalità, le lunghe strade solitarie che si snodano tra acqua e boscaglia: il cineasta sceglie luci desaturate, atmosfere cupe. Si interroga sul futuro con lucidità, condannando l’egoismo e l’incapacità di ascoltarsi. In Italia sta sorgendo un nuovo cinema che chiede a gran voce una rifondazione. I fratelli D’Innocenzo e Pietro Castellitto lo fanno con toni sferzanti, Mauro Mancini e Grande ritraggono invece il progressivo raffreddarsi dei sentimenti. Mancini in Non odiare raccontava di un medico che decideva di non soccorrere la vittima di un incidente stradale, e Grande qui mette in scena una situazione analoga. Forse non è un caso. Non riveleremo di più in questa sede, ma stanno nascendo opere prime che denunciano un’umanità mancata, un contemporaneo crepuscolare. Per Grande sembra però esserci possibilità di salvezza. Le soluzioni sono il dialogo, il recupero degli affetti. Regina è, con merito, l’unico lungometraggio italiano in concorso alla trentottesima edizione del Torino Film Festival. A sorprendere positivamente è anche la giovane Ginevra Francesconi, sempre più convincente davanti alla cinepresa. Potrebbe essere uno dei nomi più interessanti nei tempi a venire.

Gian Luca Pisacane, cinematografo.it