Critica
Bergman Island, il nuovo e luminoso film di Mia Hansen-Løve, è girato sotto l'influenza dell'autore svedese ma elude qualsiasi rischio, facendo un uso saggio della sua figura tutelare. Perché l'isola dove Ingmar Bergman ha vissuto e lavorato, dove i suoi personaggi dimoravano, si fa risorsa viva, riconfigurata incessantemente da una moltitudine di temi e scarti drammatici che rilanciano la narrazione. A prova di creazione (artistica), Chris (Vicky Krieps) e Tony (Tim Roth) avanzano per piccoli tocchi lievi che registrano lo stato della coppia anni dopo il loro incontro. La tenerezza eterna, i gesti delicati, le attenzioni costanti, la loro è una sorta di amicizia amorosa da cui il sesso sembra singolarmente assente. E allora Chris sublima proiettando il suo film. Lei lo scrive e noi lo vediamo. Nei paesaggi filmati si prolunga il viaggio interiore dell'eroina che immagina un duo idealmente romantico: Amy (Mia Wasikowska) e Joseph (Anders Danielsen Lie). La coppia, che ha vissuto una passione in passato, si riforma il tempo di un weekend, e del matrimonio di amici comuni sull'isola di Fårö. Amori reali o fantasmatici, non c'è che un solo mondo per tutte le storie, una sola isola per i vivi come per i morti. La storia di Amy e Joseph si impone per un istante e prende tutta la luce, percepiamo l'intensità dei loro sentimenti, l'erotismo tra loro e insieme tutti i rimorsi, la tristezza, l'impossibilità. Ma il vero turbamento arriva a metà film, quando le narrazioni cominciano a intrecciarsi, indistinguibili l'una dall'altra, in una sovrapposizione dove attori e personaggi si fondono, creando una confusione eccitante. Quando Chris apre gli occhi, dopo essersi addormentata nella casa di Bergman, ha cambiato realtà e si trova davanti Anders Danielsen Lie, che non è più Joseph, il personaggio del suo film, ma Anders, l'attore del suo film. Il desiderio di Amy e Joseph sembra adesso quello di Chris e Anders. Mia Hansen-Lø crea una porosità sorprendente tra le storie, realizzando un film teorico che parla nello stesso momento della sua autrice e della coppia che ha formato con Olivier Assayas. Chris e Tony, Amy e Joseph, Chris e Anders, Mia e Olivier danzano tutti sulla tomba di un amore alla fine, invocando il cinema come 'soggetto' e sorgente di vita. Il cinema come modo di vivere nella vita reale, accanto ai personaggi di fantasia offerti dai film, come dai libri o da qualsiasi altra forma di rappresentazione artistica. Creature di finzione nate anche dall'immenso e complesso lavoro di Ingmar Bergman, che come Mia Hansen-Løve credeva nei fantasmi. Bergman è dappertutto sull'isola, suggestiona i suoi ospiti e le loro creazioni, ma l'autrice la filma come un suo territorio, occupa la casa del regista svedese e il suo mulino, visita il suo museo e guarda il suo cinema nella sua sala privata. Da una realtà all'altra Bergman ritorna, dimora, resiste. Controverso e terribile, si invita nel talamo come al banchetto del matrimonio. Ma la luce di un'estate scandinava bagna Bergman Island e rifiuta la notte senza negare la sua esistenza. I demoni si trattengono ma non hanno più dimensioni sovrumane. Mia Hansen-Løve prosegue il suo cinema di emozioni e di relazioni 'in minore'. Girando intorno, senza che questo sia un difetto, e infilando loop temporali, rifiuta il terrore di esistere e firma un film più sensuale che cerebrale. Con uno sguardo personale, così generoso da diventare universale, ci rimanda ai nostri sogni, ai nostri desideri, alle nostre scelte e al potere incandescente del nostro immaginario. Lontano dall'essere convitato di pietra, statua sepolcrale, Bergman ritorna sulla terra e balla sul singolo irresistibile degli Abba.
Marzia Gandolfi, MyMovies