Critica
Prequel ambientato in uno dei periodi più bui della Storia europea, The King's Man - Le origini gioca con personaggi storici e tragedie reali, che contrastano con il tono scanzonato della serie senza però deviarla dai consueti binari. Matthew Vaughn, ancora una volta alla regia, fa i salti mortali per distanziare l'agenzia di spionaggio inglese al centro di questi film dall'imperialismo guerrafondaio del tempo, ma ci riesce solo fino a un certo punto. Se nel primo film c'era un poveraccio che si ritrovava coinvolto nello spionaggio e veniva educato alla sartoria di massima eleganza, qui c'è invece una rete clandestina di spie basata sul lavoro dei più umili, ma alla fine il protagonista rimane il nobiluomo. Pacifista e accompagnato da una donna e un nero, è un "woke" ante-litteram per essere il vicino possibile all'ipersensibile pubblico contemporaneo. Questa attenzione si limita però ai personaggi positivi, mentre quelli negativi sono più che mai macchiette caricaturali delle varie nazionalità che rappresentano. Così quella sorta di complesso di superiorità inglese che si fa uscire dalla porta con le aperte critiche all'imperialismo, rientra poi dalla finestra nella reale materia del film, che oltretutto finisce per fare una pedina anche di Lenin, contraddicendo un po' il dichiarato spirito proletario sventolato nelle premesse. Al di là della confusione ideologica, The King's Man - Le origini ha il pregio di cambiare tono, con effetti sorprendenti. Se all'inizio la storia sembra ricalcare un racconto di formazione come nel primo capitolo, poi arriva un colpo di scena che ribalta le carte in tavola. Del resto la Prima Guerra Mondiale è una tragedia su cui è difficile scherzare, in compenso si va più che mai sopra le righe con il personaggio di Rasputin, che interpretato da Rhys Ifans si mangia la scena e rimane la cosa più memorabile del film. Peccato che Vaughn sembra non averlo capito e finisca per giocarselo quasi subito, in un climax anticipato che lascia un vuoto incolmabile. Le scene d'azione successive, sempre realizzate con i numerosi trucchi ed effetti della serie, non riescono a replicare l'esilarante combattimento con Rasputin, che lotta in un mix di balli tradizionali russi con un pizzico di balletto classico. I protagonisti si cimentano invece in ruoli più risaputi: Ralph Fiennes incarna un empatico leader, molto attento al valore dei suoi alleati; Gemma Arterton interviene spesso decisiva nei panni della spia in vestito da tata, che lamenta come i maschi facciano sempre un casino da rimettere in ordine; Djimon Hounsou è lo stereotipo del compagno d'avventura esotico, che conosce l'arte di combattere con il pugnale. Contro di loro si schiera un villain nascosto nell'ombra e soprattutto il mentalista Erik Jan Hanussen, interpretato da Daniel Brühl, mentre Tom Hollander (che viene accreditato nei titoli di coda elevato al cubo) ha il triplice ruolo di Re George, del Kaiser e dello Zar. Tutti fanno la loro parte ma il risultato è prevedibile, tanto che si apprezza il colpo di scena nonostante stravolga momentaneamente il tono, perché almeno lo eleva rispetto all'action in chiave di barzelletta con superspie invincibili della serie. Purtroppo, tanto il momento tragico quanto il picco dello scontro con Rasputin non sono che parentesi, incapaci di deviare il film dai suoi più scontati binari. Anche rivestito dalla patina della ricostruzione d'epoca, alla fine The King's Man - Le origini è pur sempre un capitolo della saga iniziata con Kingsman: Secret Service e se pure ogni tanto prova a ribellarsi, da quel format non riesce o non può liberarsi.
Andrea Fornasiero, MyMovies