Critica
Basterebbe il tuffo nel cesso più sporco di Scozia, alla ricerca di due supposte di oppio, per consegnare Trainspotting alla storia del cinema più cult. Subito dopo il fortunato esordio di Piccoli omicidi tra amici, già scritto da John Hodge, prodotto da Andrew MacDonald e interpretato da Ewan McGregor al primo ruolo cinematografico, Danny Boyle ha l'ambizione di firmare uno dei film-scandalo degli anni Novanta, fornendo il ritratto di una generazione senza ideali che non ha alcuna intenzione di cavarsi fuori dalla situazione in cui versa. È la stessa Diane, la studentessa con cui Mark finisce a letto, a fotografare il presente con allarmante attenzione: la musica sta cambiando, le droghe anche, c'è da scegliere altro, gli dice con il tono di chi la sa lunga. Ma come?
Tratto dal romanzo omonimo di Irvine Welsh, ampiamente sfrondato delle sue componenti più politiche, è un film che può contare su una colonna sonora travolgente (da Lou Reed a Iggy Pop, dagli Underworld ai Blur), un gruppo di attori più che precisi e dialoghi immediatamente entrati nella cultura di massa (si pensi solo a "Provate a immaginare l'orgasmo più bello della vostra vita, moltiplicatelo per mille, e capirete cosa significa farsi di eroina"). Memore della lezione di Tarantino, quasi si gioca a superare l'americano nell'uso delle ellissi e nei dettagli forti, Trainspotting è certamente un esercizio di stile, un lavoro fin dall'inizio progettato per essere di culto, in sintesi, fatto per colpire il gusto dei benpensanti e per deliziare i "non allineati". Eppure, al di là del campionario di sangue, sostanze fecali, aghi e corpi in disfacimento, Boyle dà una lezione morale non da poco. Accusato all'epoca di esaltare il consumo di eroina, in realtà, il racconto non fa altro che scoperchiare il male assoluto della tossicodipendenza: a cominciare dalla fine di Tommy, sono molteplici i momenti realmente tragici, quasi sempre stemperati dalla giustapposizione di altre sequenze nella volontà di non far capire la vera natura del gioco.
Certamente furbo, spesso geniale, comico, spaventoso, divertente, angosciante, ossessivo, ma non ambiguo come si è detto, è un lavoro che prende a piene mani da Kubrick, Scorsese, dai fratelli Coen,Almodóvar, Lester, Roeg, Russell; nella discoteca Volcano, citazioni dirette da Arancia meccanica, la stanza simile al Korova Milk Bar, eTaxi Driver, le gigantografie di Travis e Iris. Può essere letto come una riflessione sulla pochezza del presente e sulla grandezza del passato: Mark che legge la biografia di Montgomery Clift o Sick Boy che parla in continuazione dello Sean Connery che fu non rimandano forse a questo? Irvine Welsh interpreta il ruolo di Mikey.
Marco Chiani, Mymovies.it