Tutta la bellezza e il dolore - Cineclub Arsenale APS

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TUTTA LA BELLEZZA E IL DOLORE

di Laura Poitras

Durata: 113'
Luogo, Anno: USA, 2023
Cast: Nan Goldin, Alfonse D'amato, Ed Koch, John Mearsheimer, Cookie Mueller


Sinossi

Nel 2018, insieme all'associazione da lei fondata, PAIN (acronimo di Prescription Addiction Intervention Now), la nota fotografa Nan Goldin è protagonista di un'azione di protesta presso il MET di New York. È la prima di una serie di contestazioni plateali che puntano alla cancellazione del nome della famiglia Sackler (fondatrice e proprietaria di una delle più importanti case farmaceutiche statunitensi) dall'elenco dei nomi dei sostenitori e dalle sale o donazioni a loro intitolate. Il primo passo simbolico per denunciare le micidiali ricadute del fenomeno noto come "epidemia degli oppioidi", il consumo massiccio e indotto di farmaci a base di ossicodone.


Critica

La guerra americana in Iraq (My Country, My Country), il terrorismo islamico e Guantanamo (The Oath), Julian Assange e Wikileaks (Risk), Edward Snowden (Citizenfour): con la stessa intraprendenza e sprezzo del pericolo, per il suo ultimo film, in concorso a Venezia 2022, Laura Poitras continua a scegliere contesti e individui di eccezionale resistenza e anticonformismo. Ma in All the Beauty and the Bloodshed ("tutta la bellezza e lo spargimento di sangue", una citazione che ha a che fare con "Cuore di tenebra" di Joseph Conrad, il cui senso è svelato nel finale) la traccia investigativa, giornalistica, caratteristica suoi lavori precedenti, ha uno spazio meno preponderante, affidato in parte agli interventi di Patrick Radden Keefe (autore di "L'impero del dolore", libro inchiesta sulla dinastia Sackler, che finanzia anche università come Harvard, ed è costruito sulla fortuna del Valium). In primo piano sta invece quasi sempre l'insieme dell'opera di Nan Goldin, intrecciata a una biografia selvaggia, ai margini. Classe 1953, cresciuta in un sobborgo borghese per poi essere data in affido e aver vissuto nel nomadismo ribelle tra varie sottoculture, Goldin è nota per le sue sequenze di diapositive proiettate come film prima nei locali underground e poi nelle gallerie, la più nota delle quali è "The Ballad of Sexual Dependency". Una serie di scatti realizzati tra fine anni '70 e anni '80, nella comunità artistica libera e trasgressiva di New York, dove Goldin ha trovato la sua famiglia d'elezione. Quella che ritrae in foto intime, spesso di nudo, in interni ordinari quando non squallidi, a messinscena zero. Una costellazione di dropout da discografia dei Velvet Underground, un'umanità di drag queen, prostitute, performer, punk, persone amate. Molte decimate dall'HIV, identificato come malattia degli omosessuali maschi e anche questo, proprio come l'abuso di farmaci oppioidi, sottovalutato dalla politica.

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