Critica
L'utilizzo dell'universo fantascientifico, preso dalle serie tv e dai film, non è solo un'ossatura e un espediente narrativo, ma è pertinente e utilizzato in maniera puntuale per rendere la malattia della protagonista, che si rispecchia nei problemi con le emozioni che ha il signor Spock, il vulcaniano con le orecchie a punta. Il mondo immaginario è la salvezza della giovane, che è migliorata da quando è alle prese con la stesura della storia. Il road-movie diventa allora un viaggio verso l'autonomia per chi ogni volta deve appuntarsi come fare le cose e come muoversi.
Il settantenne regista Lewin aveva già dimostrato in The Session - Gli incontri (2012) con Helen Hunt, su un malato in un polmone d'acciaio che vuole perdere la verginità, una sensibilità nel raccontare l'handicap in maniera credibile e mai ricattatoria. In Tutto ciò che voglio si viaggia con Wendy, si guarda il mondo come lo vede lei e si cambia la prospettiva. Con lei c'è solo il cane Pete che la segue e poi, suo malgrado, le scombina i programmi pisciando sull'autobus. A inseguirla, oltre a Audrey, c'è la responsabile del centro Scottie (Toni Collette) con il figlio Sam, la cui conoscenza della saga sarà utile. Del resto incontrare qualcuno che condive le tue passioni e comprende la tua lingua (esemplare il caso del poliziotto) può essere determinante.
Tanti gli ostacoli e le prevedibili delusioni durante il viaggio, anche se il regista non vi si sofferma troppo e realizza un film come la sua protagonista, che va diritto al punto, senza distrarsi in troppi pensieri. Una storia positiva di talento, sofferenza, ambizione, determinazione e speranza, che fa emergere le difficoltà di rapportarsi con gli autistici e conviverci e pure la loro a relazionarsi a un mondo che risponde a logiche diverse.
Ci sono il cercare la propria strada e le difficoltà del prendersi cura, nel tentativo di riavvicinarsi tra sorelle. Ottima la prova di Dakota Fanning, che non interpreta la protagonista, ma la vive.
Nicola Falcinella, mymovies.it