ALEPPO,SIRIA: VITA E CONTRADDIZIONI FRA LE MACERIE
Arrivare ad Aleppo non è affatto semplice, ci sono infatti volute circa trenta ore di viaggio, due frontiere superate, tre ore di controllo passaporti e ventiquattro posti di blocco. A partire siamo stati in quindici, il primo gruppo di stranieri occidentali (non militari, diplomatici o giornalisti) a tornare in questa terra, tutti spinti dal desiderio dell’incontro con chi porta le profonde e ingiuste ferite della guerra. primo gruppo di stranieri occidentali (non militari, diplomatici o giornalisti) a tornare in questa terra.
Aleppo è una città che scorre fra la vita e la morte. Qui, in quella che era la capitale economica e culturale della Siria, secondo le stime approssimative sono morte più di trentunomila persone. Qui il 70% della città non esiste più. Ad Aleppo la morte è parte della città. Molto in Italia si è parlato di Siria, della sua guerra civile e della morte da essa provocata; ma finché non vedi con i tuoi occhi la devastazione indiscriminata, finché non tocchi con le tue mani la polvere frutto della distruzione, non puoi capire cosa essa sia. Finché non percepisci con il tuo naso l’acre odore dei quartieri distrutti, finché non senti con le tue orecchie i racconti della quotidiana battaglia per la vita dei sopravvissuti non la puoi comprendere. Ma anche dopo aver usato i tuoi sensi qualcosa ti sfugge, la mente non riesce ad afferrare il perché di tanta furia, tutto ciò che hai intorno non ha senso. In questo momento arriva in soccorso il tuo corpo: sei nel mezzo di quella che un tempo era la piazza principale, vedi solo morte e desolazione, a questo punto il tuo cuore inizia a battere forte, la pelle d’oca compare sulle tue braccia, i tuoi occhi si fanno lucidi.
Ci siamo chiesti come abbiano fatto queste persone a sopravvivere e a rimanere durante la guerra, e ad un certo punto ti viene donato il paradigma della resilienza: “Vedete, qui per ognuno di noi, dal più ricco al più povero, dal più sano al moribondo, per il giovane e per il vecchio, esiste solo il presente. A nessuno è concesso pensare al futuro. Tutto è precario, la vita è sfuggente. Pensiamo al presente, viviamo il presente, gioiamo del presente, ringraziamo per il presente.
La popolazione qui stata piegata prima da otto anni di una terribile guerra che ha portato solo morte e distruzione ed oggi da un embargo che si accanisce soprattutto contro chi non ha più niente. Ad Aleppo mancano i beni di prima necessità, le medicine, in molti quartieri l’elettricità non è ancora tornata e l’acqua lo ha fatto solo parzialmente, il potere d’acquisto è praticamente a zero, la disoccupazione vicina al 90%, la città prima contava più di quattro milioni di abitati ed ad oggi si è ridotta a poco più di mezzo milione.
In questo contesto abbiamo cercato di dare una mano per quanto possibile attraverso attività per i bambini, lavori manuali e lezioni d’italiano per i volontari del luogo. Tutto questo potrebbe sembrare una goccia in un oceano fatto di bisogni, sofferenze e povertà, ma in realtà c’è una quarta attività che abbiamo svolto laggiù, forse la più importante: abbiamo aiutiamo i ragazzi siriani a non sentirsi soli e dimenticati, manifestiamo la nostra vicinanza. Prima della guerra la Siria era una terra al centro dello snodo fra Oriente ed Occidente, crocevia di popoli e merci: durante gli otto anni di conflitto il popolo siriano si è certamente sentito solo, in balia della distruzione e degli interessi degli Stati stranieri. Oggi, insieme al necessario supporto economico, la cosa fondamentale di cui il popolo di Aleppo ha bisogno è che il mondo s’interessi di lui. Gli abitanti di Aleppo vogliono confrontarsi, vogliono sfogarsi, hanno bisogno di raccontare la loro storia di morte e di vita. Se il principale nemico della speranza è l’indifferenza, non dobbiamo e non possiamo più lasciarli soli ad affrontare tutto questo.
Esemplificativo di questo penso sia la nostra visita nei quartieri di Aleppo Est, i più poveri giù prima della guerra, quelli che hanno vissuto otto anni sotto il controllo dell’ISIS ed in cui tutt’oggi la gente vive in diciotto in case di pochissimi metri quadrati senza elettricità e con cibo e acqua assolutamente non sufficienti. L’impatto con gli abitanti del quartiere è stato forte: da un lato lo stupore di chi non ha mai visto giovani europei calpestare le strade distrutte del quartiere, di chi non avrebbe mai pensato che dei “marziani” potessero avere il desiderio di incontrarli e conoscere la loro sofferenza; dall’altro lo smarrimento di chi non sa cosa la guerra sia, di chi ha sempre creduto la pace come un dato ormai acquisito, di chi non ha mai sofferto la fame e la sete, di chi rimane senza parole di fronte all’ingiustificata sofferenza umana.
Ricostruire le case è difficile, ma ricostruire le persone è un lavoro molto più complesso, ecco ad Aleppo il lavoro da fare, sotto entrambi i punti di vista, è veramente tanto. Nel nostro piccolo possiamo dire che essendo venuti qui abbiamo posto un tassello di questa lenta e difficile ricostruzione. Abbiamo incontrato un popolo generoso ed orgoglioso, capace di affrontare la sofferenza senza mai lamentarsi o autocompatirsi. Abbiamo conosciuto donne e uomini coraggiosi che hanno deciso di non abbandonare questa terra, non avendo paura di innamorarsi sotto la distruzione delle bombe e creando una famiglia, perché la vita continua, perché la morte si combatte con la vita. Abbiamo conosciuto ragazzi diventati improvvisamente adulti a causa della guerra, ragazzi che hanno offerto la propria gioventù a questo paese e al desiderio della sua ricostruzione. Qui dove i sentimenti sono sinceri e risuonano anche nei silenzi creati dalla guerra, qui ad Aleppo proprio fra la distruzione, le contraddizioni e la morte abbiamo riscoperto la forza e la bellezza dell’animo umano.