BERGMAN 100 ANNI DI EMILIANO MORREALE (REPUBBLICA.IT)
"Un film di Ingmar Bergman è, per così dire, un ventiquattresimo di secondo che si trasforma e si dilata per un'ora e mezza. È il mondo fra due battiti di palpebre, la tristezza fra due battiti di cuore, la gioia di vivere fra due battiti di mani" Jean-Luc Godard
Bergman è uno dei registi che hanno avuto più influenza per far giudicare il cinema 'una cosa seria', da una generazione di europei e non solo che si affacciavano alla società del benessere. I suoi film folgorarono i registi della nouvelle vague, negli anni Sessanta lo si prese sul serio per le problematiche filosofiche che evocava, facendone una specie di esistenzialista luterano. Ma Bergman era anzitutto un regista prodigiosamente in equilibrio tra stile 'di prosa' e improvvisi voli di fantasia. Oggi del suo cinema sorprende un certo gusto per la commedia (Sorrisi di una notte d'estate, L'occhio del diavolo, A proposito di tutte queste... signore), ma soprattutto la luminosità tattile, sia negli interni scarlatti claustrofobici di Sussurri e grida che nelle riprese en plein air di Un'estate d'amore o di Il settimo sigillo (rivederlo in Piazza Maggiore quest'estate ha fatto scoprire a molti quanta luce ci fosse, in quella danza macabra medievale). Colpisce ancora il suo peculiare gusto di calare il fantastico nel quotidiano, l'incubo nell'evocazione infantile, che lo accomuna imprevedibilmente al nostro Fellini. In fondo il baracconesco riminese non era così lontano dall'eremita di Fårö: protestante l'uno, cattolico l'altro, ma entrambi grandi osservatori di personaggi femminili (Bergman in maniera più problematica e identificativa, Fellini facendole ruotare intorno a sé in cerca d'assoluzione); uno magari parente di Strindberg e l'altro di Jacovitti, ma comunque grandi uomini di spettacolo, affascinatori di pubblico e produttori, creatori della moderna figura del regista-divo.