Critica
Una donna guarda fuori dalla finestra del suo posto di lavoro. Di fronte a lei il mare per migliaia di chilometri; siamo nel dipartimento bretone di Finisterra, a Brest, come ricorda il titolo originale di 150 milligrammi. Irène è quasi sempre sola, quando abbandona il calore di una famiglia sempre schierata al suo fianco e si affaccia nella trincea del suo ospedale, in cui non tutti apprezzano il polverone da lei alzato. Ha denunciato gli effetti collaterali molto seri, anche mortali in alcune decine di casi, causati da un farmaco in commercio da trent’anni. È una pneumologa, studia le malattie dell’apparato respiratorio, e il Mediator di danni ai suoi pazienti ne ha fatti tanti. La lotta di Davide contro Golia, una storia vera che ha visto per anni - tutt’ora sono in corso gli strascichi del processo penale - una professionista di provincia lottare contro un colosso farmaceutico, ma anche contro le incrostazioni morali del baronato accademico, universalmente maschile e a lei ostile.
Emmanuele Bercot si prende una pausa dal suo cinema d’autore, dai lunghi piani sequenza nervosi come la recitazione dei suoi protagonisti, affrontando un tema sociale da un punto di vista diverso: quello di un thriller alla Erin Brockovich - chiaro punto di riferimento - con una regia più ordinata e al servizio della tensione montante, mentre la Davide/Irène prepara con difficoltà la sua fionda per atterrare Golia. Figlia di un chirurgo, e per molti anni devota anche lei alla medicina, la Bercot ha cercato un realismo assoluto all’interno dell’ospedale, non risparmiando allo spettatore dettagli macabri in due scene: un’operazione a cuore aperto e un’autopsia, poco in linea con lo stile del film, nonostante il chiaro intento di dimostrare le conseguenze devastanti del comportamento disgraziato della casa farmaceutica, non intenzionata a ritirare il medicinale.
La Bercot è un personaggio particolare all’interno del cinema francese: attrice dal talento riconosciuto, premiata a Cannes due anni fa per Mon roi, parallelamente porta avanti una carriera altrettanto intensa come regista, non dirigendosi mai. Per 150 milligrammi si è messa al servizio della potenza di una storia, o meglio di una donna che la storia ha contribuito, a suo modo, a cambiarla. La tensione riesce a crearla, pur non facendoci del tutto superare la sensazione di una certa rigidità generale.
Adattando un libro della stessa Irène Frachon sulla vicenda, ha scelto per interpretarla una delle attrici emergenti del cinema europeo, per una volta non giovanissima, ma donna di mezza età, molto brava e affascinante. Stiamo parlando di Sidse Babett Knudsen, lanciata dalla serie televisiva danese Borgen, bissata recentemente da Westworld, già capace di recitare al cinema in francese, nell’ottimo La corte al fianco di Fabrice Luchini, e in inglese, come spalla di Tom Hanks in Inferno.
Una sfida sola contro tutti quella della protagonista di 150 millimetri, in cui emergono le mediocrità di chi all’inizio ha cercato di aiutarla, come il collega interpretato da uno spaurito Benoît Magimel. Non poteva che essere sola quando la tensione esplode in un grido di gioia, quando in macchina di notte ascolta alla radio il momento in cui la valanga diventa inarrestabile, i media si gettano violentemente sulla preda.
Mauro Donzelli, Coming Soon