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EUROPA

di Lars von Trier

Durata: 112'
Luogo, Anno: Francia, Danimarca, Svezia, Germania, 1991
Cast: Eddie Constantine, Barbara Sukowa, Jean-Marc Barr, Udo Kier, Ernst-Hugo Järegård


Sinossi

Leo Kessler torna in Germania dagli Stati Uniti dove si era rifugiato all'inizio della seconda Guerra Mondiale. La guerra è finita da poco. Uno zio gli trova il lavoro come controllore di vagone letto presso una compagnia ferroviaria che ha ripreso l'attività. Sarà nel corso dei viaggi notturni che avrà modo di incontrare Katharina, la figlia del proprietario della compagnia, e di venire a conoscenza dell'esistenza dei Lupi Mannari, un gruppo dall'incrollabile fede nazista, intenzionati a resistere all'occupazione americana.


Critica

Von Trier chiude la trilogia sull'Europa aprendosi ad un pubblico più vasto. Le premesse all'uscita del film erano state le seguenti (apparse in un "Manifesto III"): "Non c'è che una sola scusa per accettare quell'inferno che è il processo creativo di un film: il piacere carnale dell'istante in cui il proiettore e gli altoparlanti della sala cinematografica permettono all'illusione del suono e del movimento di sorgere come un elettrone che abbandona la propria orbita per generare luce e creare l'essenziale: la nascita miracolosa della VITA! È questa e solo questa la ricompensa del regista, la sua speranza, la sua rivendicazione". Nel terzo film che inizia con la lettera E (quasi fosse un elemento di unione indispensabile evidenziato in Epidemic dalla quasi ossessiva presenza del titolo all'interno delle inquadrature) Von Trier (come è noto il von nobiliare è di pura invenzione trieriana) torna all'immagine dell'ipnosi come consustanziale al cinema e vi aggiunge una lunga sequenza in apertura in cui vediamo scorrere velocemente le rotaie ferroviarie che assimila alla pellicola cinematografica. Si potrebbero, volendo invece storicizzarle, considerarle come simboliche non solo del mezzo che costituirà la location principale del film ma anche con la tragica funzione imposta allo stesso dai nazisti. Il protagonista Leo è un tedesco che torna in Patria da 'americano' e cerca di comprendere insieme allo spettatore (al quale viene chiesto di identificarsi con lui) un Paese che fatica a capire quasi non fosse più un 'europeo' come, in tutt'altro contesto, la Geraldine Chaplin giornalista francese nel precedente Nashville di Robert Altman. Ha davanti a sé un mondo che cerca di aggrapparsi alla minuzia delle regole dopo che tutto, non solo materialmente, è crollato e che fa della falsità e della finzione le proprie regole di sopravvivenza. I bambini uccidono con la massima 'innocenza' mentre ci sono ebrei che attestano false dichiarazioni di non adesione al nazismo per quei tedeschi di cui gli americani hanno bisogno. Non è un caso che Von Trier si ritagli proprio questo ruolo mettendosi in gioco direttamente in un film in cui il versante onirico emerge all'improvviso con sovrapposizioni di 'presenze' mentre l'uso del colore e del bianco e nero all'interno della stessa inquadratura consente sottili giochi psicologici che ricordano alcune scelte di Edgar Reitz in Heimat.

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