Critica
Forse c'è un unico tema che può unire sensibilità etiche, preoccupazioni sanitarie e criticità ambientali nella riflessione sul sistema socio-economico-valoriale del capitalismo come principale causa del riscaldamento globale - il cibo. Quello che mangiamo, o meglio, ciò che decidiamo di mangiare, ha un impatto razionale, misurabile, diretto con inquinamento, sfruttamento, salute, diseguaglianze. Dobbiamo produrre di più perché dobbiamo mangiare più carne, e per farlo dobbiamo sfruttare più suolo, contaminare più acqua, appestare più aria, somministrare più antibiotici, stipare più animali, violare più diritti. Ma davvero dobbiamo? Food for Profit non solo mette la camera - nascosta e non - al centro di tutto questo, costringendo in qualche modo a guardare (che tu sia spettatore inconsapevole, attivista convinto, politico coinvolto), ma alla fine dei suoi '90 minuti fa una anche una precisa call for action: "Stop sussidi pubblici agli allevamenti intensivi". Ecco, se c'è un pregio indiscutibile del documentario diretto da Giulia Innocenzi e Pablo D'Ambrosi è proprio il suo posizionamento, che si profila inizialmente come lavoro d'inchiesta sulla gestione degli allevamenti intensivi, diventa poi atto d'accusa nei confronti delle istituzioni europee complici in modo diretto e indiretto di questo sistema, e infine mette insieme queste due prospettive per trasmutarsi in un prodotto affilato da brandire per catalizzare la consapevolezza dei cittadini. Senza tirare mai il fiato e mettersi da parte. Innocenzi d'altronde c'è sempre andata dritta nelle cose, vuoi per la sua appartenenza all'albero genealogico-scolastico dell'ariete Michele Santoro su Annozero e Servizio Pubblico, vuoi per la sua vicinanza ideale e lavorativa con il giornalismo impegnato e d'assalto di Report e Le iene, così in questo progetto che spinge ancora più avanti sue precedenti inchieste tv come Che porci! e I monatti (sull'allevamento grattacielo di 26 piani a Ezhou, Cina) ibridandole con l'occhio e l'afflato del documentario cinematografico, si piazza davanti allo schermo facendo funzione di voce narrante, corpo investigativo e coscienza attivista, in una triangolazione che riassume un po' tutta la sua carriera quanto la stessa intima natura di Food for Profit. Cinque anni di lavoro, inchieste negli allevamenti coordinate dalla LAV - Lega Anti Vivisezione, produzione indipendente appoggiata da nomi quali Davide Parenti, Sebastiano Cossia Castiglioni, VICE Italia e la rete globale di attivisti Avaaz, il documentario si muove tra l'infinitamente basso delle stalle del Vecchio Continente e l'infinitamente alto degli uffici di Bruxelles, il letame degli allevamenti intensivi finanziati con i soldi dei cittadini e l'odore dei conflitti d'interesse dei parlamentari europei. Il bersaglio grosso è la nuova PAC, la Politica Agricola Comune dell'UE, che per il 2023-2027 ha a disposizione ben 387 miliardi, con la sua incapacità di riconoscere la differenza tra allevamenti intensivi ed estensivi e tutto quello che ne comporta. Polesine, regione di Berlino e Murcia, dicevamo. Ma anche l'ammoniaca prodotta dagli allevamenti di polli che frantuma e disperde la comunità di Zuromin in Polonia, o lo sfruttamento a nero e in condizioni di sicurezza inesistenti dei lavoratori immigrati in Germania e Italia. Sono immagini compromesse quelle di Food for Profit, cariche di una loro connaturata identità emotiva quando mostrano le condizioni e i maltrattamenti a cui sono sottoposti gli animali, e che assumono una dimensione beffarda negli incontri che il lobbista sotto copertura del documentario Lorenzo Mineo ha con i parlamentari Paolo De Castro e Clara Aguilera per sottoporre loro progetti di editing genetico come maiali a sei zampe e mucche con due organi sessuali. E se tutto è in nome del profitto, gli interventi del filosofo Peter Singer, dello scrittore Jonathan Safran Foer e del divulgatore scientifico David Quammen ci riportano al vero sistema di quel profitto, il capitalismo.
Luigi Coluccio, MyMovies