Hereditary - Cineclub Arsenale APS

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HEREDITARY

di Ari Aster

Durata: 127'
Luogo, Anno: USA, 2018
Cast: Toni Collette, Gabriel Byrne, Alex Wolff, Milly Shapiro, Ann Dowd


Sinossi

Ellen Graham muore insieme ai suoi misteri. Mentre la figlia Anne elabora il lutto di una complicata figura materna, nella casa dei Graham avvengono strani episodi, che sembrano presagire un epilogo tragico. Basta un movimento di macchina, lento e avvolgente, tra i sinistri diorami assemblati dalla protagonista Anne Graham per far capire a cosa andremo incontro con Hereditary. A un dramma angosciante sui traumi di una famiglia di rara disfunzionalità e insieme a un ambizioso debutto, che guarda ai maestri del passato per generare nuovi shock.


Critica

In un panorama che continua a tenere in grande considerazione quantitativa e qualitativa l'horror, l'esordio di Ari Aster si colloca agli antipodi delle produzioni Blumhouse stile Obbligo o verità e della loro sfrontata exploitation e nella scia di lavori come The Witch di Eggers. Ossia di indagini sulle paure ancestrali dell'uomo e su come queste si specchino in una contemporaneità che appare sempre più inerme verso di esse. Si diceva appunto dei diorami, una nuova forma visiva di orrore per mimesi - dopo i feticci o le bambole assassine - che costituisce la chiave di un film che si apre a interpretazioni diverse, ma con un'unica convergenza. La volontà di comprendere il mondo e la sua follia attraverso la rappresentazione, anche di ciò che sembrerebbe "non rappresentabile" (e quindi "non filmabile"). E insieme la sostanziale sconfitta di questa volontà, schiacciata dal peso delle conseguenze. Il ribaltamento tra animato e inanimato, tra manipolatore e manipolato, è già nell'incipit, e seguirà in tutto Hereditary, con accumulo compulsivo di elementi orrorifici, grotteschi e talora ossimorici. Sonnambulismo, misticismo, satanismo, bambini dai poteri speciali, possessioni, case maledette. Un horror post tutto, che dispone tutti i riferimenti possibili sul tavolo, a metà strada tra il depistaggio deliberato e la strizzata d'occhio complice. Quasi un gemello spirituale di Babadook, altrettanto ossessionato dall'elaborazione del lutto e dalla repressione di sentimenti violenti all'interno del nucleo familiare. Come nel film di Kent, anche qui un'atmosfera soffocante caratterizza da subito, senza sorprese, la famiglia Graham, come se una cappa di piombo avvolgesse inesorabilmente la loro spaziosa villa fuoriporta. Di MacGuffin in MacGuffin si arriva sino all'epilogo, prima che la tensione accumulata si spezzi e Aster decida invece di esibire. Una scelta che rischia di indebolire l'impatto psicologico della visione ma che, forse, apre ad altre ardite interpretazioni. In ogni caso lo schiocco della lingua sul palato rischia di risuonare a lungo nella mente, ben oltre la visione.

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