Critica
1941. Un soldato parte per il fronte russo: man mano che il treno avanza attraverso Ungheria e Ucraina, i ricordi della madre russa e della spedizione fascista in Africa gli invadono la mente, fantasmi di un passato impossibile da cancellare. Federico Ferrone e Michele Manzolini, già registi de Il treno per Mosca, ripropongono quell'esperimento con alcune variazioni.
Attingendo all'archivio prezioso dell'Istituto Luce e di Home Movies - Archivio nazionale del film di famiglia, l'idea dei registi - e del cosceneggiatore Wu Ming 2 - è quella di montare immagini di repertorio per formare una narrazione di finzione, ispirata alle vite e ai diari dei militari Guido Balzani, Remo Canetta, Enrico Chierici, Adolfo Franzini, Nuto Revelli, Mario Rigoni Stern. La novità, importante, è che accanto al found footage, infatti, Il varco include immagini della contemporaneità, catturate in una Ucraina divenuta nuovamente teatro di guerra. Un luogo in cui sembra che la risoluzione delle tensioni non possa essere gestita in altro modo che con l'uso delle armi. Una terra di morti e di fantasmi che sembrano perseguitare e confondere l'invisibile protagonista, reso carne e sostanza solo dalla voce del narratore Emidio Clementi, già cantante dei Massimo Volume.
Ogni frammento diviene così il tassello di un mosaico coerente: le immagini di un prete ortodosso che officia una messa divengono un episodio ideale ed esemplare per raccontare di un popolo, quello ucraino, fieramente avverso all'egemonia russa. Disposto a vedere come dei liberatori ieri i nazifascisti e oggi gli americani, pur di rivendicare la propria indipendenza. Il malcelato senso di dominio incontrastato che domina i primi pensieri del soldato viaggiatore - portare alla pace con un'"ultima" guerra - trasmette fino a noi il senso di colpa, prima che prevalgano disillusione e sconforto, accompagnate dal rigido inverno.
Anche da un punto di vista visivo Ferrone e Manzolini cercano un esito omogeneo: se le immagini di repertorio sono ovviamente in bianco e nero, i colori delle riprese nell'Ucraina odierna sono così desaturati da agevolare la confusione con il resto e l'assenza di una soluzione di continuità. Un taglio suggestivo con cui osservare la vicenda storica nel suo complesso, che ne evidenzia la natura fantasmatica: vite che nessuno ha mai raccontato diventano spettri di vite mai vissute, ma abbastanza realistici da turbare i nostri sonni di occidentali, al caldo, lontani dalle steppe ucraine.
Emanuele Sacchi,mymovies.it