Knight of Cups - Cineclub Arsenale APS

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KNIGHT OF CUPS

di Terrence Malick

Durata: 118'
Luogo, Anno: USA, 2015
Cast: Christian Bale, Cate Blanchett, Natalie Portman, Joel Kinnaman, Wes Bentley, Isabel Lucas, Freida Pinto


Sinossi

Knight of Cups segue l'odissea di Rick, scrittore errante tra le luci di Los Angeles e Las Vegas, alla ricerca di amore e di se stesso. Nonostante si stia muovendo all'interno di un mondo fatto di ville, resort, spiagge e locali, alimentato dal desiderio e dal piacere, Rick è alle prese con un difficile rapporto con il fratello e il padre. La sua missione, volta a rompere l'incantesimo della sua disillusione, lo porta ad affrontare una serie di avventure con 6 donne seducenti: Della la ribelle; la sua ex moglie dottoressa; Helen la modella; una donna a cui aveva fatto male in passato, Elizabeth; Karen la spogliarellista vivace e spensierata; e l'innocente Isabel, che lo aiuterà a trovare un modo per andare avanti. Rick si muove stordito in uno strano e travolgente paesaggio ipnotico, ma riusciranno la bellezza, l'umanità e i ritmi della vita intorno a lui a svegliarlo da questo torpore?


Critica

Un Malick ancora più a briglia sciolta ci incalza con quello che è probabilmente il suo film più denso e visionario. Knight of Cups è un'esperienza rara, anche e soprattutto per gli estimatori del regista texano.

In più punti la macchina da presa inquadra il cielo mentre passa ogni sorta di velivolo (aereo, elicottero, aeroplano), perché, se è vero che Rick vuole tenere i piedi saldi a terra, è altresì vero che ha un disperato bisogno di alzare gli occhi verso l’alto. In cerca di un altrove, L’altrove per alcuni, quello da cui si aspettano risposte, sollievo. L’amore di cui parla Malick ha un nome, o meglio, una descrizione: vivere a pieno il presente. Rick porta con sé ricordi e debolezze che lo trascinano reiteratamente in una spirale di nonsenso, in quel vuoto che risucchia e da dentro il quale non si vede mai né dove comincia né dove finisce.

Difficile, se non altro inutile, scrivere di Knight of Cups in altri termini. C’è tanto, troppo, in questo torrente d’immagini che trasudano grandiosità da tutti i pori: trovatemi un altro, chiunque altro, che sia capace di convogliare pensieri così densi e complessi in una singola, spettacolare inquadratura. Già adesso la tentazione sarebbe quella di un secondo giro per catturare istantanee qua e là, di cui il film è pieno zeppo. Tuttavia ne uscirebbe ridimensionata l’intera operazione limitandoci ad una mostra fotografica, perché quello di Malick è un lungo pianosequenza emozionale che non ammette mutilazioni, rallentamenti, modifiche di alcun tipo.

Pensare a questo viaggio come a un insieme di tappe è quanto di più fuorviante, perché il tutto si colloca su un piano ben diverso, che non è reale ma nemmeno immaginifico. È vero, autentico, perciò più reale del reale. Come dire? Quando Rick torna indietro con i ricordi oppure si proietta in avanti con la mente, non si può mai dire con assoluta certezza che non sia totalmente presente a sé stesso. La sua perenne, inappagata ricerca di amore lo porta a commettere errori suoi, subire quelli altrui, e poi convivere con le conseguenze di tutto ciò. È la quotidiana battaglia dell’esistenza, quella dalla quale nessuno è escluso. Rick è paradossalmente il più taciturno di tutti ma al tempo stesso colui la cui voce si sente più spesso, tra suppliche, confessioni, richieste. Sullo sfondo di una Los Angeles spettrale, sia che si tratti di camminare per le sue strade, sia che invece ci si muova all’interno di vuoti ma maestosi set hollywoodiani. Ed il digitale pare essere nato per nient’altro che catturare le notti lonsageline, il loro buio tendente all’arancione, le sue luci così uniche, come lo sono i suoi colori – lezione già impartita con abbagliante successo da Michael Mann.

Ma c’è tanto altro, ve lo abbiamo già detto. Il mito di Sisifo, l’«ama e fa ciò che vuoi» di Sant’Agostino, il vertiginoso rapporto tra universo e Terra, la nostalgia costante di un luogo che non si conosce, ma che ci attrae sempre, dovunque, nei nostri sogni, nelle nostre speranze così come nelle nostre aspirazioni. A tratti è il narratore del Qoelet di biblica memoria ad appropriarsi del voice over, se non addirittura delle mani del regista, il quale mostra che in fondo «vanità delle vanità, tutto è vanità». Ci vuole coraggio per andare così a fondo, anche solo per provarci: in un’epoca talmente avulsa dal dogma, e che anzi ne ha proprio ripudiato l’idea, è estremamente necessario qualcuno che ci inviti a recuperare quella capacità per cui, con Chesterton, «si può capire tutto solo grazie a ciò che non si capisce».

Le feste sfarzose, il successo nel lavoro, le innumerevoli, provocanti donne che Rick incontra non rappresentano il problema: sono solo un modo per evaderlo. Knight of Cups non a caso si sofferma molto sulle relazioni di Rick, quelle vere, quelle che lo hanno cambiato sul serio. È per sempre l’amore? Si può amare una sola volta oppure di più? E sempre allo stesso modo? Sono quesiti terribili, che nondimeno tormentano un uomo che semplicemente crede di non essere più in grado di amare: chiunque, compreso sé stesso. Svariate sono le fasi della sua vita che vengono evocate nel film; lo evinciamo dalle lussuose abitazioni che si succedono in maniera non consequenziale. Tanto che l’inizio del film potrebbe benissimo essere l’approdo attuale della storia di Rick, rimasto solo, in uno spazio angusto, essenziale, elegante, ma non per questo al riparo dalle scosse di terremoto che fanno tremare l’intero edificio.

Il discorso perciò resta invariato, e Malick continua imperterrito a seguitare per la sua strada, mostrando una coerenza ed un’abilità speculativa che gli vale senza dubbio, unico, il tutt'altro che fantasioso titolo di filosofo della macchina da presa. Nessuno è in grado attraverso questo mezzo di elaborare concetti, percorsi, teorie, con questo grado di raffinatezza e sintesi. Perché chi credesse che Malick ci goda a “complicare le cose” o a "non farsi capire", beh, sappia di essere vittima di un fondamentale equivoco: Terrence Malick, semplicemente, ci parla di cose di cui non parla nessun altro, in un modo in cui non ci riesce nessun altro. Ammassate cinematografie intere e non otterrete lo stesso grado di efficacia in un arco così relativamente ristretto.

Antonio Maria Abate, Cineblog.it