Critica
C'è qualcosa di bellissimo in The darkest hour, l'ultimo film di Joe Wright con un sorprendente Gary Oldman nei panni di Winston Churchill: si tratta della forza letteraria di questa pellicola. Non perché quello sullo schermo sia un racconto romanzato di una parte della vita Churchill, non intendo questo: voglio dire che è lo stile narrativo utilizzato dal regista a essere squisitamente letterario. Ciò che ne scaturisce è l'immagine del più celebre Primo Ministro britannico come di un eroe romantico, pur nella salda cornice storica in cui i fatti sono proposti. Non è un caso che Wright – a mio avviso il più raffinato cineasta inglese della sua generazione – prima di The darkest Hour si sia dedicato a tradurre sullo schermo opere di letteratura: classici come Orgoglio e Pregiudizio e Anna Karenina, o potenti novelle contemporanee come Espiazione di McEwan. Sempre con risultati d'eccellenza.
Ora, per la prima volta, si dedica a un lavoro importante, la cui sceneggiatura non è basata su di un romanzo. Però l'approccio è il medesimo: quasi quegli anni che corrono dalla nomina di Churchill a primo ministro sino all'apice della seconda guerra mondiale, narrati in The darkest Hour, fossero materia di un racconto che vede Churchill come protagonista fantastico. Così, la storia diviene storytelling letterario, in una sorta di romanzo storico al contrario. Benché (e credo sia uno svarione da parte dell'Accademy) Wright non sia tra i nominati all'Oscar come miglior regista, è proprio la narrazione registica che rende speciale questo lavoro, unitamente a una sceneggiatura di finissima fattura (neanche questa nominata, sigh!), nella quale risaltano la bellezza e la profondità dei dialoghi, mai scontati e brillanti.
Come la definizione dei personaggi, non solo nella giganteggiante figura di Churchill col volto di Oldman, ma anche in quelli di secondo piano: la sua segreteria, cui presta il viso la sempre incantevole Lily James; sua moglie Clementine (figura chiave della vita di Churcill), che pur nelle sparute pose del film emerge con peculiarità, grazie alla bravura di un'attrice del calibro di Krstin Scott Thomas; per non parlare della maestria con cui ci raggiungono dallo schermo i profili umani e storici di uomini come Re Giorgio, Chamberalin, Halifax, al centro di quel vortice politico che il film restituisce allo spettatore con grazia, originalità e intelligenza.
Certo, come è stato sottolineato, la recitazione di Gary Oldman è superba. L'attore, in un camaleontico lavoro sul personaggio, diventa davvero Churcill: nell'elocuzione stentorea e biascicante di tabacco e whiskey (che ovviamente il doppiaggio italiano non può restituire in pieno), nella gestualità, nella postura, nella camminata. Il trucco di Kazuhiro Tusji fa il resto, compiendo una vera magia.
È la prima volta che Wright non lavora con Keira Knightley come protagonista – ma gli sforzi di Tusji, anche se è uno dei più bravi truccatori in circolazione, in quel caso non sarebbero stati sufficienti a farla somigliare a Churchill. Con Oldman l'impresa riesce invece alla grande e la sua interpretazione non ha niente da invidiare agli altri Churchill visti prima sullo schermo (John Lithgow in The Crown, Timoty Spall in The King's Speech, solo per citare i più recenti di una lunga lista). Ma, soprattutto, il film racconta la personalità complessa e affascinante di quest'uomo, attraverso uno spaccato del momento fondamentale della sua vita: quando, nell'ora più buia del moderno Impero britannico, il destino lo chiamò – contro la volontà di molti – a portare sulle spalle tutto il peso della storia: a decidere drammaticamente di opporsi e resistere al pericolo del Nazionalsocialismo, che pareva dovesse ingoiare l'Europa di lì a poco.
Churchill nell'opera di Wright diviene così, più che un primo ministro, un moderno Enrico V: così come il Re raccontato da Shakespeare si opponeva all'imponenza delle truppe francesi ad Agincourt, vincendo una battaglia che nessuno credeva affrontabile; così qui Churchill si oppone ai tedeschi, resistendo laddove tutti volevano trattare.
Lo capisci, lo senti Churchill in questo film: lo conosci come uomo fuori dagli schemi, oratore impareggiabile, uomo brusco e impetuoso, amante del whisky e dello champagne (anche ben prima del tramonto), individualista e intelligentissimo, colto, cocciuto al punto di seguire le sue idee fino al possibile sfacelo, ironico fino al parossisimo, carismatico come pochi uomini sono stati nel suo secolo. A tratti, Wright ne fa un'incarnazione dell'Inghilterra stessa, proprio come Shakespeare aveva fatto con Enrico V. Churchill ha, dell'essenza dello spirito inglese, la fierezza che non si arrende, la self-reliance, quella fiducia in se stessi che può cambiare il destino; e inoltre l'ironia: quell'impareggiabile humor che compare in varie scene, come nel gustosissimo siparietto in cui il Primo Ministro risponde al suo Re (che, un po' impressionato nel vederlo sorseggiare whiskey alle prime ore del giorno, gli chiede: "Ma come fa a bere a quest'ora?"), dicendo semplicemente: "Practice". "Allenamento".
Cesare Catà, huffingtonpost.it