Critica
Da un'idea di Michael Caine, un'immersione in tre capitoli nello spirito rivoluzionario e libertario della swinging London degli anni Sessanta. Momento unico e seminale non solo in campo musicale, con la british invasion dei gruppi inglesi alla conquista dell'America, ma soprattutto per l'apertura a istanze democratiche, pacifiste, egualitarie (e sì, anche alle porte della percezione, qui rivista criticamente in chiusura). Per l'iconico protagonista di Alfie, che si presenta subito come la guida di questo viaggio, il dato più importante è stato l'improvviso, clamoroso accesso che la classe operaia ha improvvisamente avuto ad ambiti fino ad allora ad essa preclusi: oltre al cinema e alla musica, la moda, il design, l'arte, la grafica.
Con la complicità del produttore e documentarista David Batty, My Generation è la sua occasione per rivendicare con orgoglio la fortunosa affermazione di cockney, cioè proletario londinese: la sua scrittura come ufficiale britannico in Zulu era impensabile nell'Inghilterra classista, che dichiarava illegali le radio pirata (come quella di I Love Radio Rock di Richard Curtis), ancora impregnata di moralismo e mentalità colonialista. In parallelo, l'ascesa di altri working class heroes, non solo i Beatles e i Rolling Stones, attraverso le voci di McCartney, Lennon, Jagger e Richards, Roger Daltrey, Marianne Faithfull, ma anche del fotografo David Bailey, al cui archivio il film ricorre abbondantemente, come epitome di stile ma anche per i suoi scatti simbolo della liberazione sessuale, negli anni di trionfo della pop culture. A riproporre tale composito zeitgeist concorrono in ugual misura le dichiarazioni dei protagonisti dell'epoca sulle meravigliose, numerosissime immagini d'archivio della città e di quel boom, interventi in voce registrati oggi, e le hit del decennio. Una tracklist scelta con precisione chirurgica (ed era prevedibile, dato che il produttore Simon Fuller viene dalla discografia e si occupa oggi di talent musicali): oltre agli ovvi Beatles, Stones e Kinks, My Generation dei The Who, che dà il titolo al film (l'urlo che sancisce uno strappo storico decisivo), la tensione alla fuga di We Gotta Get Out of This Place dei The Animals e di I Feel Free dei Cream, la chiamata all'azione e l'insofferenza delle più classiche Something In the Air dei Thunderclap Newman e Satisfaction degli Stones, la seduttiva Sunshine Superman di Donovan. È il soundtrack perfetto per un archivio notevole sia in bianco e nero che in colore: i negozi di strumenti musicali di Charing Cross Road, gli shooting di Twiggy, la boutique di Biba, i tagli di capelli di Vidal Sassoon, l'esplosione di ragazze vestite come Mary Quant, le proteste in Hyde Park, il The Cavern, il The Ad-Lib, David Hockney al lavoro e molte altre prove dell'irruzione del rumore e dell'iconoclastia nella musica, della cultura pop che cambiò i colori di Londra e poi del resto del mondo. Alla soglia degli 85 anni (con cinque decadi di nomination all'Oscar) l'attore quintessenza della british coolness consegna quindi ai giovani arrabbiati di tutti i tempi un tributo a un passato glorioso che sia di ispirazione anche per le generazioni future.
Raffaella Giancristofaro, Mymovies.it