Critica
La Nico di Susanna Nicchiarelli non è quella che in The Doors di Oliver Stone praticava una fellatio a Jim Morrison in ascensore. Quella che cantava con e per i Velvet Underground, e che - dice la protagonista di Nico, 1988, ricordando quel periodo - prendeva "un sacco di LSD".
Quella Nico lì, la Nico bellissima e adorata dagli uomini, modella, cantante e musa, forse non è mai nemmeno esistita: se non nello sguardo e nel desiderio di chi le era accanto. Forse non è mai esistita perché se vinci e basta, come stava vincendo e basta lei, nata sulle macerie della Berlino del dopoguerra e fiorita nella factory di Andy Warhol, allora non hai vissuto davvero. Perché l'icona non è la persona. Eppure è con quel fantasma, ancora evocato da tutti, e con altri del suo passato, ancora più ingombranti, che Christa Päffgen si deve continuare a confrontare nel 1986: due anni prima della sua morte, quando è vicina ai cinquant'anni, quando ha conosciuto i baratri dell'eroina, dell'insuccesso, e gira l'Europa su un pulmino scalcinato per suonare la sua musica, la musica per cui non viene mai ricordata, di fronte a sparute platee tra Anzio, Praga e Manchester. E proprio perché sconfitta a più riprese della vita, ammaccata e appesantita, quella Nico lì è più viva che mai. E i fantasmi, suoi e degli altri, se li lascia alle spalle. Grazie anche a una performance ipnotica, rabbiosa e dolente di Trine Dyrholm, la Nico di Susanna Nicchiarelli è una combattente: una che vince o che perde ma che la sua partita la gioca sempre, e la gioca con le regole stabilite da lei, fedele ai suoi principi, ai suoi desideri come alle sue dipendenze. È a forza di scontri e incontri, con le persone e con la vita, che questa Nico - non necessariamente "vera", ma più vera e viva di quella bionda e bellissima dell'ascensore - costruisce e tutela sé stessa, i suoi affetti, la sua musica, la sua poesia. La sua famiglia. Perfettamente a suo agio nella prigione dell'inquadratura in 4:3, che fa fatica a contenerla, questa Nico si spinge con tutta la sua forza verso quel lato dello schermo che confina direttamete con il nostro sguardo e le le nostre emozioni.
Episodico, ellittico, reale e onirico assieme e a fasi alternate, il film della Nicchiarelli racconta una riscossa e una vittoria laddove sarebbe stato così facile leggere una sconfitta: quella di una donna (non di una star, non di un'icona) che è caduta ma che - in uno o un altro - si è sempre rialzata, che ha perso un figlio e lo ha riconquistato, che ha riempito sempre con quello che aveva dentro di sé, con i suoi demoni e con la sua musica, il vuoto dei vertici del successo come quello gli abissi che gli son seguiti. Cinema vivo, che non ha paura di ammaccarsi o farsi male, e che vince per questo. Come Nico.
Federico Gironi, comingsoon.it