Critica
Nella confusione di temi e di azioni contemporanea occorrono delle linee guida. Principi, valori, ideali in cui credere fermamente, in cui identificarsi e far valere il senso di appartenenza. Elio Germano sale sul palcoscenico per dimostrare, in 70 minuti di spettacolo intenso e tesissimo, come dietro gli slogan e davanti agli applausi non sia affatto facile mantenere lucidità e come si possa, per varie ragioni, finire per pensare che addirittura un testo estremo come il Mein Kampf di Adolf Hitler possa arrivare ad avere un qualche senso. Una telecamera a sei obiettivi riprende l'attore-mattatore intento in un monologo serrato che diventa presto un crescendo di slogan politici sul senso di comunità, sulla meritocrazia, sulla sicurezza e, più avanti, sulla xenofobia e la purezza della razza (laddove i nuovi 'ebrei' sono gli 'arabi' per una similitudine forzata e volutamente distorta, tutta contemporanea). Un gioco con gli spettatori che diventa presto un gioco nel gioco, metateatrale e metacinematografico al contempo, con chi indossa il visore e si ritrova nel bel mezzo della pleatea, seduto tra gli altri, a tifare per questo o quel concetto, a partecipare attivamente al dibattito politico. La VR consente un'immersione a 360 gradi, polverizza ogni distanza critica e fa entrare a capofitto nel vivo dello spettacolo ripreso, costringendo a un'attenzione costante e una concentrazione continua.
Unica pecca, marginale, è che proprio come a teatro, quando l'attore va in fondo alla sala per parlare con il pubblico più dietro si è costretti a stare parecchi minuti con il capo rivolto e la visione rischia di diventare, per qualche tratto, faticosa.
L'esperimento di teatro virtuale complessivamente è vincente e l'esperienza visiva più che interessante: impossibile non lasciarsi coinvolgere, oltre che da un testo ben scritto da Germano con Chiara Lagani, dalla tentazione di condividere con gli altri - coloro che ci siedono accanto, nella visione VR - il messaggio che lo spettacolo intende lanciare: riconoscere le tracce di razzismo e xenofobia che abitano dentro noi stessi, prima di puntare il dito contro qualcosa di "troppo distante da me".
Persino il Mein Kampf può rivelare una sua attualità, e alcune cose di quel testo, estrapolate dal contesto, possono risultare persino condivisibili. Il "segnale di allarme" che questo film, e prima lo spettacolo, intendono lanciare a chi guarda è esattamente questo: fare attenzione che istanze di condivisione sociale non sfocino e degenerino in slogan vuoti, creati ad arte per animare le così dette masse" Una strategia politica populista decisamente pericolosa, oggi come ieri.
Claudia Catalli, MyMovies