Viaggio a Tokyo - Cineclub Arsenale APS

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VIAGGIO A TOKYO

di YasujirÔ Ozu

Durata: 137'
Luogo, Anno: Giappone, 1953
Cast: So Yamamura, Chishû Ryû, Chieko Higashiyama, Kuniko Miyake


Sinossi

Shukichi e Tomi, ormai vicini ai settant'anni, decidono di affrontare un lungo viaggio per Tokyo per visitare i propri figli prima che sia troppo tardi. Arrivati alla capitale, l'accoglienza non è quella attesa: sia il primogenito Koichi che la sorella Shige hanno troppi impegni di lavoro e sembrano vivere la presenza degli anziani genitori più come un fastidio che come una gioia. Solo Noriko, vedova da otto anni del secondogenito Shoji, dimostra un sincero affetto per gli ex suoceri, nonostante non ci sia alcun legame di sangue ad unirli.


Critica

Il contrasto generazionale e il presagio di un cambiamento imminente nel DNA della cultura giapponese (l'occidentalizzazione post-bellica e il distacco dai valori millenari della tradizione) è analizzato attraverso un fatto apparentemente ordinario: il viaggio di una coppia di anziani a Tokyo per visitare i propri figli un'ultima volta, prima che sia troppo tardi. Uno spostamento spaziale che sussume una visione e una consapevolezza temporale (l'inevitabilità della morte) che i figli paiono non possedere, vivendo la visita dei genitori come un evento ordinario, se non un fastidio. Gli elementi che sono centrali nella visione confuciana alla base della cultura giapponese ne escono così trasfigurati: la centralità del lavoro diventa un utile pretesto per evitare di accudire i propri antenati, l'ospitalità un obbligo con cui salvare le apparenze anziché un reale piacere. Noriko, l'unica a ricoprire di affetto i coniugi Hirayama, manifesta i suoi sentimenti senza un secondo fine, senza calcoli o preconcetti, guidata solo dalla propria indole: i confini tra dovere e piacere sono sfumati fino a essere invisibili. In lei vive lo spirito del Giappone che Ozu - che in vita rimase accanto alla madre senza mai sposarsi - vorrebbe veder preservato. Attraverso il dono dell'orologio, fatto da Shukichi a Noriko, che caratterizza l'intenso epilogo, viene sancito il passaggio di testimone all'unico rappresentante delle generazioni future in grado di prefigurare gli eventi e interagire con il corso naturale delle cose, sfuggendo alla prigionia di un eterno presente capace solo di impoverire culturalmente e alienare socialmente. La continuità non è determinata né influenzata dai legami di sangue, che, al contrario, possono fungere da ostacolo, sotto la spinta della necessità di recidere il cordone ombelicale e trovare una propria strada nella vita: in questo senso Ozu mostra una forma di comprensione, o meglio di osservazione imparziale, anche verso lo sgradevole comportamento dei figli di Tomi e Shukichi.

L'atteggiamento contemplativo del regista si traduce in un uso della macchina da presa che diverrà firma inconfondibile: un'inquadratura quasi sempre fissa - solo un movimento di macchina percepibile in tutto il film, orizzontale, per scovare i due anziani seduti davanti a casa di Noriko - e incorniciata da porte e forme geometriche rettangolari, che precede l'ingresso in campo dei personaggi e si sofferma pe un istante anche quando questi sono usciti di scena. È la rivoluzione della semplicità, che passa dal celeberrimo punto di vista del tatami, con la macchina fissa all'altezza di un uomo seduto sulla stuoia, e che consente di rendere bidimensionali i primi piani, volutamente appiattiti dall'inquadratura.

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