60 ANNI DI VERTIGINI HITCHCOCKIANE
Era il 1959, esattamente sessant'anni fa, quando Vertigo – La donna che visse due volte fece capolino nei cinema europei, in seguito ad una tiepida prima accoglienza negli Stati Uniti. All'avanguardia sui tempi, forse anche troppo, il film fece invece letteralmente innamorare cinefili e critici, molti dei quali scrissero pagine a sostegno di quello che consideravano un “capolavoro contemporaneo”. Uno dei più convinti della grandezza del film fu Eric Rohmer, e per celebrare il ritorno in sala nella versione restaurata dalla Cineteca di Bologna, proponiamo il suo pezzo che andò in stampa sui "Cahiers du cinéma": Vertigo è un film di pura suspense, e cioè di costruzione. Quello che fa scattare l'azione non è più costituito dal moto delle passioni o da qualche conflitto morale (come in Under Capricorn, I Confess o The Wrong Man), ma da un processo astratto, meccanico, artificiale, esteriore, per lo meno in apparenza. In questi tre film non è l'uomo che costituisce l'elemento motore. E non lo è neanche il destino, nel senso in cui lo si intende dai Greci in poi, ma la forma stessa di quelle essenze formali che sono lo Spazio e il Tempo. Naturalmente si disquisirà all'infinito per sapere se c'è o no suspense in Hitchcock. Nel senso più generale del termine, capacità di tenere lo spettatore con il fiato sospeso, possiamo affermare che ce n'è sempre, e qui più ancora che altrove, nonostante il fatto che la chiave dell'enigma poliziesco (con la quale il romanzo si chiude) ci venga rivelata una mezz'ora prima della fine. Sapevamo già che non era sugli arcani del meccanismo poliziesco, per quanto ingegnoso, che davano le porte segrete di Hitchcock. Il fatto importante è che, sempre, vogliamo sapere, e vogliamo sapere sempre di più man mano che ci viene rivelata una parte più grande di verità; e che la soluzione dell'enigma non faccia scoppiare come una bolla di sapone l'accumularsi dell'intreccio che, fino all'ultimo momento, aveva continuato a gonfiarsi a dismisura (rimprovero che si sarebbe potuto fare per esempio a Caccia al ladro). Qui la suspense è a doppio effetto: non solo rende più incerto il futuro, ma rimette in gioco il passato. Perché qui il passato non è affatto quella scorta di ignoto che un autore, per diritto divino, tiene di riserva e che, una volta messa in luce, potrà sciogliere tutti i nodi. Anzi, vediamo che, riaffiorando, non fa altro che stringerli ancora di più. Man mano che si rischiarano i punti oscuri della storia, appare una figura nuova che non conoscevamo in quanto tale, ma che era sempre stata presente: quella Madeleine, creduta vera, e tuttavia mai veramente conosciuta, vero fantasma in ogni caso, dal momento che non esisteva che nella mente del detective, che non era che una idea. Proprio come Finestra sul cortile e L'uomo che sapeva troppo, Vertigo è dunque una sorta di parabola della conoscenza.